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Abbiamo bisogno di mitezza

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Quando nella vita mondiale e quotidiana cresce l’aggressività, dobbiamo essere capaci di ascoltare e rispettare.

Centoquarantaquattromila. L’Apocalisse ci consegna questo numero per indicare coloro che sono stati segnati dal sigillo del Dio vivente. È il segno che individua i “servi del nostro Dio”, cioè i santi. Ma non dobbiamo considerare questo numero come limite. Esprime, invece, la totalità del popolo, dodicimila persone per ognuna delle dodici tribù di Israele: cioè una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, leggiamo sempre nell’Apocalisse”.
Domenica festa di tutti i santi, immagine della Gerusalemme celeste. I santi sono coloro che ci indicano la strada e ci dicono che la santità non è un qualcosa per pochi eletti, ma obiettivo cui tendere tutti.
I santi sono coloro che, secondo l’espressione dell’Apocalisse, “sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello”, diceva Giovanni Paolo II, parlando, all’Angelus, il primo novembre 2001. “Hanno saputo andare controcorrente, accogliendo il ‘discorso della montagna’ come norma ispiratrice della loro vita: povertà di spirito e semplicità di vita; mansuetudine e non-violenza; pentimento dei peccati propri ed espiazione di quelli altrui; fame e sete della giustizia; misericordia e compassione; purezza di cuore; impegno per la pace; sacrificio per la giustizia”.
In questo giorno, che precede la commemorazione dei defunti – due date che si susseguono nel calendario della vita, messaggio per il credente chiamato a vivere nella fede il suo essere cristiano – facciamo memoria di tutti i santi, quelli conosciuti e coloro che non lo sono ancora; quelli canonizzati ufficialmente e quanti non lo saranno mai; chi ha lasciato un segno visibile e altri che sono rimasti nel nascondimento.
Parlando prima della preghiera mariana dell’Angelus, Papa Francesco commenta in particolare due beatitudini, presenti nel racconto di Matteo: la seconda e la quarta.
“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”.
Dice Francesco: “sembrano parole contraddittorie, perché il pianto non è segno di gioia e felicità. Motivi di pianto e di sofferenza sono la morte, la malattia, le avversità morali, il peccato e gli errori: semplicemente, la vita di ogni giorno, fragile, debole e segnata da difficoltà. Una vita a volte ferita e provata da ingratitudini e incomprensioni”.
Certamente noi non avremmo mai pensato di dire sono beati coloro che si trovano in questa situazione. Ma Gesù sì, chiama così “coloro che piangono per queste realtà e, nonostante tutto, confidano nel Signore e si pongono sotto la sua ombra. Non sono indifferenti, e nemmeno induriscono il cuore nel dolore, ma sperano con pazienza nella consolazione di Dio. E questa consolazione la sperimentano già in questa vita”.
Le situazioni di povertà, sofferenza e ingiustizia potranno anche non cambiare, ma ciò che cambia è il nostro rapporto con il Signore; i santi e i beati sono i “testimoni più autorevoli della speranza cristiana, perché l’hanno vissuta in pienezza nella loro esistenza, tra gioie e sofferenze, attuando le beatitudini che Gesù ha predicato”.
Poi la quarta beatitudine: beati i miti, perché avranno in eredità la terra. È la caratteristica di Gesù la mitezza, ricorda il Papa: “miti sono coloro che sanno dominare sé stessi, che lasciano spazio all’altro, lo ascoltano e lo rispettano nel suo modo di vivere, nei suoi bisogni e nelle sue richieste. Non intendono sopraffarlo né sminuirlo, non vogliono sovrastare e dominare su tutto, né imporre le proprie idee e i propri interessi a danno degli altri.
Queste persone, che la mentalità mondana non apprezza, sono invece preziose agli occhi di Dio, il quale dà loro in eredità la terra promessa, cioè la vita eterna. Anche questa beatitudine comincia quaggiù e si compirà in cielo”.
Le beatitudini sono uno stile “controcorrente” rispetto alla mentalità del mondo, afferma ancora Francesco. La mitezza, poi, è elemento necessario “anche per la società contemporanea, tanto facile agli scontri e alle violenze: abbiamo bisogno di mitezza per andare avanti nel cammino della santità. Ascoltare, rispettare, non aggredire: mitezza”. •

Fabio Zavattaro

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