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La cura come rimedio alle indifferenze

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Paure, ipocondrie, turbamenti, ingiustizie, inganni, fallimenti, tutti temi del brano di Franco Battiato del ’96 oggi più che mai attuali.

È molto probabile che, sentendo una canzone alla radio, capiti di ascoltare un testo in cui sia presente la parola “amore”. Diciamo pure che la maggior parte delle canzoni italiane ha come tema l’amore o aspetti simili. È interessante però osservare come di fronte a infinite variazioni dello stesso tema amoroso -di come sboccia, delle emozioni che lo scatenano, dei sentimenti che lo pervadono, dalle atmosfere che si creano lì per lì-, sono pochi i casi in cui si parla di come mantenerlo in buona salute, di come averne cura di come mantenerlo stabile. E non parlo solo del rapporto per eccellenza, cioè quello d’amore che può esserci fra due innamorati, ma di un qualsiasi rapporto affettivo verso qualcuno o qualcosa.
L’aspetto dell’aver cura, poi, nella canzone italiana, spesso, viene sempre e solo collegato all’esperienza d’amore. Se però ci riflettiamo, se l’amore implica una cura dell’altro, la cura non sempre implica amare; è vero che il prendersi cura è sicuramente un effetto d’amore (perché se voglio bene a qualcuno, presto a lui le mie attenzioni) e potrebbe anche esserne la causa (se io inizio ad avere attenzioni per qualcuno, posso finire per innamorarmene) ma è pur vero che curarsi dell’altro (e della realtà che ci circonda) è un’abitudine che non riguarda i sentimenti o le emozioni, ma è una pratica, un agire e un modo di esserci nel mondo. Potremmo guardare l’educazione dell’aver cura, dunque, come uno dei modi in cui opera l’amore che si manifesta attraverso le nostre attenzioni verso qualcosa o qualcuno. Di fatto, se non ci preoccupiamo di annaffiare una piantina questa si secca, se non abbiamo pazienza nel curarla non cresce, se non la proteggiamo dagli insetti o dalle intemperie si deteriora. Papa Francesco pone proprio la cura reciproca come base per costruire un percorso di pace perché prendersi cura del creato, del prossimo, e anche di noi stessi, è un potente rimedio alle indifferenze, alle differenze sociali, alle rivalità e all’individualismo.
Nella canzone italiana, come dicevamo, il tema della cura verso il prossimo è poco trattato, ma ci sono eccezioni e fra queste spicca uno dei capolavori di Franco Battiato contenuto nell’album “L’imboscata” del ’96. “La Cura” è un diamante finemente lavorato sia musicalmente sia per quanto riguarda il testo (scritto a quattro mani dal filosofo Manlio Sgalambro).
Al primo ascolto, il brano, potrebbe essere interpretato come una ballata romantica in cui l’io narrante promette di prendersi cura di qualcuno che noi supponiamo essere l’amata e, in effetti, potrebbe anche essere interpretata in questo modo.
A ben vedere, però, il testo non lascia mai trasparire l’identità del soggetto che si prende cura né dell’oggetto cui sono rivolte le cure e ciò apre molte visioni interpretative. Battiato, d’altronde, non è stato mai un cantautore banale; laureato in fisica, da sempre dedito a sperimentazioni, considerato il personaggio “più spirituale” della musica italiana, interessato all’esoterismo, al misticismo, alle diverse teologie e alle filosofie soprattutto a quella orientale. Sono molti gli appassionati che rimangono affascinati, oltre che dalle sue musiche, anche dai suoi testi un po’ enigmatici che danno l’impressione di rivolgersi a sfere più alte rispetto a quelle dei suoi colleghi che invece trattano più spesso di amore o di politica. “La Cura” è una di quelle canzoni che si prestano a molte interpretazioni tra le quali anche quella in cui non sia un uomo a prestare le sue cure alla sua amata bensì Dio stesso che parla all’uomo confortandolo, promettendo di salvarlo dai pericoli e rassicurandolo sulla sua vicinanza.
La canzone si apre con due verbi che garantiscono di proteggere e sollevare dagli eventi non piacevoli e dolorosi che permeano la vita di tutti (Paure, ipocondrie, turbamenti, ingiustizie, inganni, fallimenti). La voce calma, quasi distaccata del cantante sembra comunicare anche l’ineluttabilità di questi mali. Ipocondrie e turbamenti sono solo segni delle paure delle incertezze dell’uomo che, cosciente delle proprie fragilità e di essere legato alla sua carne e alla sua sostanza terrena, non riesce a fare a meno di questi stati di malessere. È vero che l’uomo è fatto di materia e prigioniero delle passioni, ma è pur vero che per qualcuno è un essere speciale degno e bisognoso di cure. Le armi più potenti per combattere la grande battaglia della vita sono soprattutto il silenzio e la pazienza; due condizioni che potrebbero sembrare inutili ma che invece sono presupposti fondamentali del saggio. È un silenzio inteso non come assenza di rumori ma potenzialmente denso di ogni tipo di suono. Una pazienza vista non come sopportazione remissiva ma come attesa necessaria a far sì che le cose accadono nel momento giusto in cui devono accadere. Battiato, inoltre, mette in luce l’aspetto della reciprocità del rapporto così anche l’essenza metafisica incontra quella terrena nei versi finali in cui elementi che richiamano la materia (profumi, corpi, sensi) incontrano poteri che superano gli aspetti materiali (Supererò le correnti gravitazionali e lo spazio e la luce); quest’avvicinamento fra umano e divino è aperto da un verso, percorreremo assieme le vie che portano all’essenza, che fa venire in mente l’immagine di un padre che cammina mano nella mano con il figlio proteggendolo dalle varie turbolenze in un percorso che attraverso il silenzio e la pazienza li porteranno insieme a raggiungere lo stadio finale di ogni esistenza: l’essenza.
Queste parole poetiche, ma di una poesia ermetica quasi per iniziati, sono associate a una ricca orchestrazione fra gli elementi musicali; all’utilizzo dell’elettronica, in cui i sintetizzatori fanno da base armonica e voci campionate generano un ritmo sincopato continuo, s’innesta, mimetizzandosi, il suono degli archi che introducono la melodia principale. Questi elementi si sovrappongono in modo ricorrente creando una spirale infinita di rimandi melodico-ritmici. Anche i vari aspetti musicali sembrano aver cura uno dell’altro: la batteria si preoccupa di far venir fuori il ritmo sincopato delle voci, le voci ascoltano gli archi, gli archi lasciano spazio alla chitarra e la voce s’insinua in modo composto e disteso su un tappeto sonoro creato su misura, in cui tutte le parti si rispettano e si rincorrono.
D’altronde, nella musica, la cura delle parti è un elemento fondamentale; ogni nota deve essere curata contestualmente a quella che viene prima e a quella dopo perché, se questo non accade, non ne risente solo quella nota ma l’intera composizione. Basta un semitono a cambiare un accordo maggiore in un accordo minore, basta una durata diversa che la melodia cambia significato e un suono in più o in meno può fare grande differenza nell’ecologia compositiva.
Sembra retorico ma la grande musica nasce dal rispetto reciproco delle piccole parti. Anche in musica, la cura, non è solo sintomo di amore per la materia, ma anche, e soprattutto, necessità; in altre parole, la musica, per essere bella, deve necessariamente essere curata (e ciò è probabilmente sintomo d’amore).
Come dicevamo all’inizio è difficile ascoltare una canzone sul tema del prendersi cura.
La canzone deve catturare velocemente l’ascoltatore con temi che colpiscono l’attenzione nell’immediato ma che spesso fanno poco riflettere nel lungo periodo. Oggi la cultura di massa predilige un piacere momentaneo per distrarre lo sguardo dalla difficile realtà del presente che però rischia di impedire la presa di coscienza sui problemi reali che riguardano la vita.
Torniamo a una cultura della cura e a una pratica della cura. Torniamo a osservare, ascoltare e comprendere l’altro in modo empatico. Il prendersi cura di sé, degli altri e del mondo è il paradigma stesso dell’essenza del vivere; forse proprio quell’essenza di cui parla Battiato verso la quale ognuno di noi comincia e finisce il proprio percorso terreno. •

Samuele Ricci, Docente di Lettere e musicista

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