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Dove sta la libertà di informazione?

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Di qualche giorno fa la notizia della fusione-acquisizione del Gruppo Espresso-Itedi.
“L’unione di Repubblica, Stampa e Secolo XIX – ha scritto la Repubblica – porterà alla creazione del primo gruppo italiano dell’informazione stampata e digitale. In Borsa salgono i titoli Espresso e Rcs. Monica Mondardini sarà alla guida operativa della società. Le testate manterranno piena indipendenza editoriale”. Dietro all’operazione c’è Carlo de Benedetti che acquisisce, ed Elkan-Marchionne che lasciano il campo dell’informazione proiettati verso altri settori. Su Il Giornale, Sallusti si chiedeva dove fossero le vergini vestali della libertà di informazione.
In effetti, poco o nulla s’è sentito rispetto a questa concentrazione fortissima di informazione. Quelle che strillavano quando Berlusconi faceva questo e quello…
Il problema è serio. Chi ha in mano la comunicazione, in qualche modo fa passare messaggi interessati, che possono pilotare scelte finanziarie, economiche, politiche e culturali.
Che può incidere in modo significativo, cioè, sulle scelte strategiche di un Paese.
Non a caso l’editore puro degli anni Cinquanta è diventato impuro cadendo nella rete dei finanzieri e degli imprenditori edili. A questo fenomeno, ci sono, o ci potrebbero essere, due argini.
Il primo è rappresentato dai social network. Che sono il massimo della cosidetta “democrazia comunicativa”.
Ognuno può scrivere quel che vuole e raccontare quel che gli va. Con il rischio per il lettore-navigatore di trovare tutto e il contrario di tutto: dall’analisi più seria alle bufale più clamorose.
Umberto Eco fu entusiasta della rete appena nata. Molto più critico e sferzante lo fu negli anni successivi proprio per l’involgarimento del web. “Pieno di stupidi”, disse.
L’altra diga è rappresentata dai giornalisti. E qui si aprirebbe un dibattito infinito.
Quanta libertà effettiva c’è per un giornalista  dinanzi alle scelte del suo datore di lavoro-editore?
In teoria: il massimo; in pratica, forse molto meno. Ma, soprattutto, quanta voglia c’è oggi di essere scomodi, di porre domande imbarazzanti, di scarnificare i fatti, di usare i comunicati stampa solo come pro-memoria e non come veline, di andare oltre le apparenze, di verificare di persona, di sacrificare tempo alla ricerca?
Un problema ancora più grosso dinanzi ad enti, istituzioni, apparati di partito, che si sono dotati di forti uffici stampa che tutto preparano e porgono già bello e confezionato.
La domanda da porsi continuamente – ma che neppure i corsi di aggiornamento pongono più – è: il nostro mestiere è quello di supportare le vetrinette, lo spettacolo (in ogni senso: politico, economico, ecc.) o quello di capire cosa c’è sotto, cosa c’è di sopra, di lato, di fondo?
Non per essere iper-critici, ma per avvicinarci alla realtà dei fatti. E salvare la nostra professione. •

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