
Però non è del Valentini maggiore che qui vogliamo parlare, ma di un poeta ironico, amaramente ironico, che tuttavia è in grado di scherzare su sensazioni e immagini del tutto personali e – per questo – tali da essere assunte come generali. È quello che è facile rilevare leggendo Il verbo.
In principio c’è stato
il Verbo. Ma non fu la Parola,
fu il Bing Bang, il boato
del l’esplosione
che, sola,
segnò l’inizio della Creazione.
(Perciò Sant’ Agostino si chiedeva
che mai facesse Iddio nel suo profondo
fino al momento di creare il mondo.
In spazi inseminati egli taceva).
Lo dice chi se ne intende.
E di qui discende
l’idea generale
di ogni popolo adorante
che, per memoria ancestrale,
sa che il suo Dio fu sempre un Dio tonante.
E, dunque, il mondo non finirà affatto
come Eliot predice.
Sulla stessa base, di una tessitura persino più triste della precedente, l’ironia amara del poeta sfiora la morte, i morti ed il loro mistero: il nostro futuro – egli dice – è il tempo ch’essi hanno vissuto… Parole che danno da pensare il occasione della Commemorazione dei defunti che si celebra ogni 2 novembre.
Se riesci a convincerti che niente
vuoi morire, ed i morti si travestono
come ricordi o come tentazioni;
per scendere all’inconscio collettivo
un racconto di spettri è il più istruttivo.
Ciascuno d’essi, infatti, non conserva
altro che l’abitudine di vivere.
Noi lì aspettiamo a mezzanotte. E il nostro
futuro è il tempo ch’essi hanno vissuto.
Tutto è stato. Gli archetipi ci assediano
travestiti da niente. Ogni minuto
cigola l’uscio, ma nessuno è entrato. •
a cura di Fabrizio Fabi