Il Catechismo, riguardo alla Cresima – ultimo baluardo prima della fuga dalla fede praticata per la maggior parte dei ragazzi – prescrive la necessità, per chi la vuole ricevere, di “essere in stato di grazia” (n°1310) e gli consiglia di cercare “l’aiuto spirituale”
(n°1311) di un padrino o di una madrina.
Il padrino di Battesimo, prototipo di quello di Cresima, nell’immaginario popolare, specie in alcuni contesti territoriali, ha spesso la funzione simbolica di mostrare pubblicamente il modello al quale il bambino dovrà ispirarsi e a quali mani viene “affidata” la sua formazione, si pensi a come lo descrive Coppola nel Il Padrino.
Nel caso della Cresima, visto anche il minore rilievo che questa ricopre nella considerazione generale, la scelta dell’accompagnatore di un candidato non più infante perde pure queste finalità e rimane di frequente solo una specie di premio per un parente o un amico, gradito alla famiglia.
Tanto per non peccare di astrazione, ricordo che in occasione della mia Cresima, ormai risalente ma già sintomatica, mi affidarono a un mio cugino di una quindicina d’anni più grande, avvisato la settimana prima, ateo professo, che da allora non frequentai più né in chiesa né altrove. Mi aiutò spiritualmente a comprendere la grazia che lo Spirito mi affidava? La domanda è evidentemente retorica.
Due le principali risposte che la Chiesa dà concretamente al problema. Una che privilegia il rispetto della regola citata, fissa dei criteri per l’accompagnamento e, se necessario, esprime un veto, talora con effetti drammatici di pubblica contestazione del presbitero che “chiede patenti” e “vive fuori dal tempo”.
L’altra che invece tende a prediligere l’idea per cui la scelta della famiglia è insindacabile, che comunque il Signore scrive dritto
anche sulle righe storte, che “è meglio che in chiesa vengano, qualcosa passa”, che “la Chiesa non deve giudicare”.
Ma, forse, c’è anche una terza ipotesi di lavoro. Non ritenere la Cresima una tappa temporale “obbligatoria”, come una vaccinazione o l’esame di terza media, e, comunque, non amministrarla a tredicenni.
Aspettare che i ragazzi abbiano raggiunto l’età della ragione e del dubbio e, magari, l’abbiano anche superata. E decidano loro
se essere confermati con il sigillo dello Spirito, dopo attento accompagnamento ecclesiale, sufficientemente lungo da consentire
una maieutica della fede attiva, del carisma di evangelizzazione, del desiderio del duc in altum. Affidandoli a padrini e madrine che non tanto esibiscano i titoli ecclesiali di ‘buon cristiano praticante’, specie quasi estinta, ma che abbiano camminato
con il candidato in modo attento, orante e proficuo. E che vogliano continuare a camminare con lui. E con Lui.
So che si tratta di una mia opinione, ma ritengo che abbia prodotto più fede, e dunque salvezza, il rigore di padre Pio rispetto
al “tutti dentro a prescindere” del compianto don Gallo.
E se, giustamente, il sacramento dell’Ordine Presbiterale viene amministrato dopo anni di studi e valutazioni durissime, perché
per gli altri – penso al Matrimonio, ma lo stesso vale per la Cresima – il discernimento non si esercita, bastano una decina
di incontri, spesso facoltativi, e ai protagonisti non viene più richiesto l’ “abito nuziale” di cui ci parla Matteo (22, 12), che qualche utilità dovrà pure averla, visti gli effetti della sua mancanza? •
Marco Caldarelli