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La rete dei bulli: IL LAGER ON LINE

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Fatti drammatici possono accadere a dieci metri, o 700 km oppure a diecimila. Ci toccano ugualmente. O, meglio, dovrebbero toccarci.
Quello della ragazzina di dodici anni, che ha cercato di uccidersi a Pordenone lanciandosi dalla finestra perché vessata dai bulli della sua scuola, non può lasciarci passivi spettatori di un orrido televisivo. Quel fatto – quei fatti – pone domande e scuote coscienze.
Una mamma di Porto San Giorgio, Marianna Cinti: madre ma anche insegnante (all’ISC Nardi), si è interrogata pubblicamente e ha interrogato noi adulti. Ha posto il quesito principale: dove siamo, dove eravamo?
“Ma come abbiamo cresciuto ed educato questa generazione di figli nostri? Cosa stiamo loro insegnando e trasmettendo? Sono le mie riflessioni… scusate, ma come mamma e come insegnante non posso darmi pace… quando noi eravamo adolescenti abbiamo mai vissuto casi di coetanei che si suicidavano o tentavano solo di farlo??? No… quindi evidentemente nella ‘nostra’ società c’è qualcosa che non va proprio e noi dobbiamo impegnarci e muoverci per aiutare i nostri ragazzi a vivere la loro vita fino in fondo… ad affrontare e superare problemi piccoli e grandi che la vita ci riserva sempre… ad ogni età ma che spesso a 12 anni sembrano insormontabili… l’invito è a riflettere, a fare ognuno la propria parte!!!”.
Non è, com’è evidente dallo scritto, un’accusa alla società o alla politica, alla cultura o un rimando agli altri (sempre gli altri). Non è una pretesa. È un interrogativo invece rivolto a sé, e rivolto a noi, agli adulti. Un interrogativo che porta dentro la necessità di dar valore all’esistenza e la spinta ad un nuovo rapporto tra generazioni, tra padri madri e figli.
È un appello accorato e indiretto alla mobilitazione delle famiglie, della scuola, della chiesa, delle associazioni. Perché, sviati dalle Borse che calano e crescono, sviati dalle nozze gay, sviati dall’ultima ricetta televisiva, sviati dalle mafie di Quarto, sviati dal cazzeggio quotidiano, sviati – lasciatemelo dire – dal Family Day, sembriamo incapaci di cogliere la malattia vera di questo nostro mondo: che è la perdita del gusto di vivere, come scriveva in tempi ancora per nulla sospetti Teilhard de Chardin. La Chernobyl dell’anima. Con le sue stragi conseguenti. Non basta la piazza di un giorno, l’emozione di un istante. “Mandateci nudi, ma lasciateci la libertà di educazione”, gridava un santo pedagogo. Libertà di costruire un mondo diverso come nella Lettera a Diogneto. Ma ci sono tanti “ma”.
Antonio Polito ha scritto un libro Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli. Ha spunti interessanti perché il giornalista-scrittore coglie la sfida più grande che l’odierna società oggi affronta: la sfida educativa. Una sfida, precisa Carron nel suo La bellezza disarmata, rispetto alla quale le altre, quella economica, sociale e politica, non sono che conseguenze.
Con un salto indietro di quasi due secoli leggiamo la spiegazione che ne dà Charles Peguy: “La crisi dell’insegnamento non è la crisi dell’insegnamento, è crisi di vita”. Del gusto di vivere. Appunto. Ed è crisi degli adulti che poco o nulla sanno proporre di vero, solo attenti ad una soddisfazione economica propria e dei figli.
Inutili, allora, tanti corsi e lezioni sui pericoli da droga, bullismo, violenze, se non c’è un fascino, una bellezza e un motivo per campare.
C’è stato Uno che ha detto: Io sono la via, la verità, la vita. Ha riempito il cuore di milioni di persone. Lo ha colmato di felicità. Lui c’è ancora. Noi? •

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