Don Giuseppe Paci, 92 anni, ha scritto “Un territorio due contrade una comunità”
Siamo viaggiatori inconsapevoli. Rapidi. Fuggiaschi dalla nostra storia. Così i luoghi diventano non luoghi, perché non ne carpiamo più le origini che portano impregnate addosso.
Tre anni fa Antichi sentieri Nuovi cammini si impegnò nella battaglia delle fonti. Una, in particolare, quella che si trova in Contrada Molini, di fronte alla scuola primaria. Coperta di erbaccia, chiedemmo di pulirla. Il Comune lo fece. Il presidente del Ciip garantì nuova erogazione. Così non è stato. Che vorrà essere una fontanella… Già. Ma quella fontanella fu costruita in ricordo dell’acqua vona: quella dell’acquedotto inaugurato nel 1928. Opera importante. Ancora di più se si tiene a mente che il «Comune di Fermo, nel 1951, aderiva al “Consorzio dell’Acquedotto Pescara di Arquata” che, nel 1960, avrebbe preso il nome di “Consorzio Idrico Intercomunale del Piceno”». Pescara di Arquata, dunque, quella divorata dal terremoto!
I virgolettati li traggo da un libro in pubblicazione in questi giorni, dal titolo Un territorio, due contrade, una Comunità. Lo ha scritto un giovane di quasi 92 anni. Giuseppe Paci, anzi: don Peppe Paci, che della parrocchia di San Giovanni Bosco è stato parroco dal 1963 al 2001. Un libro attento, che ricostruisce storia e sviluppo di Molini e Molini Girola, dedicato «Ai giovani di oggi che non conoscono il passato. Ai giovani di domani quando il presente di oggi sarà passato». Un volume ricco di informazioni.
Così veniamo a conoscenza che decenni fa l’ing. Mario Andrenacci aveva approntato un progetto di «tracciato di pista ciclabile da Fermo ad Amandola con l’indicazione e i disegni delle fontanelle per i ciclisti». La politica ne discute da anni. Lui l’aveva già progettata.
Imboccando la strada per la Conceria, s’incontra il Palazzo dei Produttori. Ha un aspetto signorile. Era residenza di campagna, o estiva, della nobile famiglia Sabbioni. Un cavaliere e il leone sforzesco ne sono l’emblema. L’edificio è stato una cartiera, un luogo per la coltivazione dei bachi, e un calzaturificio.
La cartiera, racconta don Peppe, fu realizzata da un personaggio singolare. Luigi Antonini era campanaro del Duomo di Fermo. Con gran senso di carità, raccoglieva bambini abbandonati e poveri. Finché gli spazi bastarono, li fece vivere in alcune stanzette del campanile della Cattedrale. Poi, alcuni li consegnò al collegio Gallicano di Roma, altri li indirizzò al lavoro realizzando l’opificio.
Perché Molini, vi chiederete? Perché ce n’erano diversi ad acqua: il mulino Gigliucci, quello Paci, l’altro Cardarelli, infine il mulino Mezzabotta. E l’acqua serviva a produrre anche corrente elettrica. Si faceva in proprio, sfruttando i canali, lu vallatu. Fecero centraline Armando e Riccardo Rogante e Domenico Mezzabotta. Erano i primi decenni del Novecento. Poi arrivò l’UNES e quindi l’ENEL.
Ampio spazio, don Paci, lo dedica alla Conceria, già campo di concentramento, già linificio con macchinari all’avanguardia. C’è tant’altro nel volume del giovane sacerdote. A partire dal suo amore per quella Comunità umana. Il libro sarà presentato domenica 18 dicembre, alle ore 17, nella chiesa di San Giovanni Bosco. Un’occasione per saperne molto di più. •