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Il tramonto delle utopie di un prete

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Sulle strade di don Lorenzo Milani l’uomo del futuro. Il nuovo libro di Eraldo Affinati

C’è un punto in cui l’educatore accetta la propria impotenza, esce dal tribunale della storia e torna alla lavagna chinando il capo. Fu in seminario che Lorenzo cominciò a capire come si dovrebbe sentire chi insegna agli adolescenti difficili: un po’ sconfitto, un po’ vittorioso. Non significa forse questo essere padri?” (Eraldo Affinati, Sulle strade di don Lorenzo Milani l’uomo del futuro, pag. 100, Milano, Mondadori, 2016). La riflessione è posta all’ultima pagina di copertina del libro finalista al premio Strega 2016, assegnato a La Scuola Cattolica di Edoardo Albinati.
È Affinati stesso che precisa, nella prima pagina del romanzo-saggio, l’origine del racconto: “Certi libri ti crescono dentro prima che tu li riconosca. All’inizio si presentano camuffati da emozioni destinate a perdersi, poi lentamente conquistano uno spazio stabile e aderiscono alla tua vita, finché non puoi fare a meno di prenderne atto. Allora è come se riempissi un foglio già pronto scrivendo sotto dettatura. Credo sia andata così anche con queste pagine su don Lorenzo Milani: dieci capitoli, composti in seconda persona, a partire dai luoghi più rappresentativi della sua esistenza, intervallati da altrettante risonanze recuperate dai miei diari di viaggio intorno al mondo”.
Quelle che l’autore chiama le risonanze costituiscono le strade percorse da chi, senza conoscere il priore di Barbiana, segue i suoi stessi percorsi. Sono i maestri di villaggio, che pongono argini allo sfacelo dell’istruzione africana. Sono i teppisti berlinesi, frantumi della storia europea. In Marocco, sono gli adolescenti arabi, frenetici e istintivi. A New York sono gli italiani di Ellis Island, quando gli immigrati eravamo noi. In Cina e in India, Affinati incontra le suore di Pechino e Benares, pronte ad accogliere i più sfortunati. In Messico conosce i piccoli rapinatori messicani. A Volgograd avvicina i renitenti alla leva russi durante la guerra in Cecenia. In Giappone fa amicizia con Okamoto, superstite di Hiroshima. Nella sua città, Roma, prende contatto con i preti romani che non sanno trovare due locali per accogliere la scuola di Italiano per gli immigrati. Questi i capitoli: Gambia (2012), Berlino (2013), Marocco (2007), New York (2010), Pechino (2010), Benares (2003), Città del Messico (2010), Volgograd (2002), Hiroshima (2005), Roma (2014). Sono i capitoli intitolati, in ordine ai luoghi di cui sopra: “Accendere il fuoco”, “L’arca di Marzahn”, “L’ultimo maestro”, “Addio, addio, vita!”, “”Le biglie scheggiate”, “Suor Teresa”, “Città degli angeli”, “Il prezzo della vittoria”, “The game is over”, “I miei preti”.
L’ultimo è il capitolo più intrigante e il più divertente. “A cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo” – diceva Papa Francesco in un discorso del 19 maggio 2014, rivolto al mondo della scuola, citando don Milani come modello essenziale”.
Eraldo Affinati che è anche insegnante, dopo essere stato sfrattato dai Gesuiti della chiesa di San Saba, all’Aventino, che avevano concesso per sei anni quattro grandi locali al pianterreno dell’edificio, che dovrà essere trasformato in un ”filosofato”, va alla ricerca di una nuova sede per la “Penny Wirton”, la scuola di lingua italiana per immigrati, tenuta da lui assieme a un gruppo di volontari.
Chiede a don Antonio, parroco di Santa Prisca, a padre Rafael della chiesa di Santa Marcella, a don Guido, titolare della chiesa di San Gregorio Barbarigo al Laurentino, a fra Corrado economo francescano di via del Serafico, a don Fabio della chiesa di San Benedetto, a don Andrea, passionista presso la sede prestigiosa della Congregazione posta accanto a Villa Celimontana, due locali dove poter dar scuola. Nessuno, per un motivo o per l’altro, è disposto a dare quanto viene chiesto. Stabili, chiese, canoniche e conventi sono semivuoti ed hanno spazi immensi. Armati di coraggio, provano da don Giorgio salesiano, al Testaccio, che li dirotta dalle suore della Divina Provvidenza ma niente da fare. Si rivolgono al vescovo di Roma centro, Matteo Zuppi che inizia a telefonare ai marianisti di viale Manzoni, ai Verbiti della Piramide ma nessuno accoglie la richiesta. Alla fine, il gruppo si trasferisce presso la chiesa di San Vito all’Esquilino, a quella di Madonna ai Monti e alla Suburra ma niente da fare. Ricevono solo rifiuti. “Così quando arrivo a don Francesco, l’ultimo dei miei preti, dalle parti di via dei Serpenti, prima ancora di esprimermi, gli chiedo quali siano stati i suoi punti di riferimento. Lui risponde secco: Paolo VI… don Primo Mazzolari e don Milani. A quel punto, anche se l’ambiente di cui dispone mi sembra inadeguato e non potremo usufruirne, lo abbraccio riconoscente. Amo credere che il priore, nascosto dietro di noi, lasci scorrere i titoli di coda”. Sono proprio le ultime righe del libro.
L’incipit somiglia molto a quello del romanzo Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani. In un anno imprecisato, Eraldo Affinati e consorte, non impegnati negli esami di Stato, decidono di anticipare le vacanze estive per recarsi a Barbiana. Giunti a Barberino del Mugello, escono dall’autostrada e arrivano a destinazione. Giunti davanti alla canonica, si dirigono presso il piccolo cimitero dove don Milani riposa dal giugno del 1967. Non fanno nemmeno in tempo ad arrivare che squilla il cellulare. È un redattore del Tg2, edizione nazionale. Chiede al professore se può rilasciare una sua dichiarazione sul perché, agli esami di Stato di quell’anno, il numero delle lodi dato agli studenti era più alto al Sud che al Nord. Eraldo Affinati fissa la foto di don Milani sulla tomba e si chiede assieme alla moglie cosa avrebbe detto don Milani davanti a quella richiesta. “Forse una parolaccia”, suggerì mia moglie”.
La biografia del priore di Barbiana attraversa le cento settantuno pagine, rivisitando luoghi e ambienti o citando brani delle opere più conosciute di don Lorenzo Milani, da Esperienze Pastorali, alle Lettere alla mamma, Lettere di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, Lettera a una profes14soressa, L’obbedienza non è più una virtù.
La ricchezza di alcune pagine è data da quello che dicono, a distanza di sessant’anni e più, quelli che sono stati gli allievi di don Milani, da Agostino Burberi a Aldo Bozzolini per la scuola di Barbiana, a Maresco Ballini e Mario Rosi. I secondi due furono i più attivi fra gli ex scolari di Calenzano, il paese nel quale don Lorenzo Milani approdò il 3 ottobre del 1947, a sostegno dell’anziano parroco don Daniele Pugi, buono come il pane, il quale non esitò neppure un istante ad accettare quel pretino “che nessuno vuole: un ragazzo d’una famiglia mezza ebrea”. Particolare rilievo è dato all’intervista conversazione che l’autore ha con Adele Corradi, l’insegnante di lettere che diventò, assieme al prof. Agostino Ammannati, una delle più ferventi sostenitrici della Scuola di Barbiana, autrice tra l’altro di un libro su don Milani: Non so se don Milani, pubblicato nel 2012 e citato spesso nel testo di Affinati.
Un altro tassello narrativo, presente nel libro e non affatto secondario, è rappresentato dalle riflessioni che Affinati fa di tanto in tanto a spiegazione della realtà a lui contemporanea, attraversando a Firenze le strade percorse da don Lorenzo Milani. L’autore si trova in via Antonio Gramsci e “I faretti sull’erba illuminano il volto di Giuseppe Mazzini…Due mangiapreti che fanno comunella? Noi siamo già nell’Inferno preconizzato da don Milani, pare che dicano. Ascoltali: Il Dio denaro ha vinto. I motori imperano nella testa dei ragazzi. La pornografia è entrata nella loro esperienza quotidiana. La deflagrazione del desiderio è compiuta. La politica è corrotta. La scuola è sfasciata. Gli scolari non sono più capaci di stare attenti. La donna viene massacrata. I poveri perdono. Il consumo trionfa. La moda ci guida. Il turista ha preso il posto del viaggiatore. Chi va su Google non legge più se non in modo estemporaneo e frammentario… La Chiesa è stata compromessa dalla pedofilia. I giovani bestemmiano, bevono e si ubriacano. I borghesi comandano. Gli operai vogliono diventare come loro. Le utopie si sono trasformate in flagelli. Le campagne si spopolano perché i contadini se ne vanno lasciando il posto agli immigrati, che raccolgono i frutti della terra per pochi euro, puliscono le stalle e danno da mangiare al bestiame.
La Costituzione sembra lettera morta. Cristo è uno slogan di Papa Francesco. La scrittura somiglia alla pubblicità. La letteratura è fantasy, giallo e discorso. Il numero ha vinto sulla qualità. I canoni sembrano stravolti. Gli stili sono scomparsi. Le gerarchie irriconoscibili. I sindacati non più all’altezza. La coscienza civile è una favola a cui soltanto pochi vecchietti paiono ancora disposti a credere. Perfino il celebre motto “I care” è inutilizzabile dopo essere stato svenduto al Partito democratico”.
Don Lorenzo Milani muore il 26 giugno 1967, quando Eraldo Affinati frequenta la Scuola Media. Diventato grande, anche lui maestro, decide di scrivere ancora un libro su questa figura controversa della Chiesa negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo tutto quello che è stato scritto e detto sul priore di Barbiana, è anche perché sente dentro di sé di avere qualche affinità con don Milani.
È ansioso di agire in fretta per non lasciarsi irretire dall’indecisione. Ecco allora rivisitare i luoghi di nascita del piccolo Lorenzo Milani Comparetti, cognome quest’ultimo del nonno paterno, che non avendo figli, impose che il proprio cognome passasse ai nipoti.
La casa dove il piccolo Lorenzo viene alla luce il 27 maggio 1923 è una elegante palazzina in via Principe Eugenio 9, oggi diventata via Antonio Gramsci 25, a pochi passi da Borgo San Frediano, quartiere popolare caro a Vasco Pratolini, così descritto in uno dei suoi romanzi più belli: “C’è di là d’Arno un quartiere dove le facciate delle case, se può darsi tale nome a sì orribili catapecchie, sono specialmente in certi punti, stonacate, scabbiose, gli acquai con sgrondi rotti, un quartiere dove il minimo subbuglio può tirare sulle strade, accalcare insieme ad un tratto centinaia d’uomini e donne furenti!…”(V. Pratolini, Metello).
La differenza tra i due mondi quasi continui è abissale.
Da un lato la ricchezza sfacciata, dall’altra l’estrema povertà. Il papà di Lorenzo, Albano Milani, ateo, è un chimico con la passione per la letteratura. Possiede una tenuta con vasti terreni nella campagna di Montespertoli con l’annessa villa “Gigliola” e un’altra villa sul mare, a Castiglioncello, “Il Ginepro”.
La mamma di Lorenzo, Alice Weiss, proviene da una famiglia di ebrei boemi trasferitisi a Firenze per ragioni commerciali. Il piccolo Lorenzo trascorre l’infanzia tra balie, tate, istitutrici. Non gli manca nulla. Anche quando il padre si trasferisce a Milano per lavoro nel 1930, va ad abitare in uno dei quartieri più eleganti della città lombarda, a pochi passi da via della Spiga, poco lontano da via Monte Napoleone.
Terminate le Scuole Elementari e Medie, frequenta il prestigioso Liceo Classico “Berchet” dove prende la maturità. Dopo una breve parentesi all’Accademia di Brera, comunica ai propri genitori di voler entrare in seminario. Questi non approvano la scelta. La mamma ci soffre ma gli sarà accanto fino agli ultimi giorni. Dopo quattro anni trascorsi nel seminario a Cestello, di là d’Arno, viene ordinato sacerdote. Dopo i sette anni trascorsi a Calenzano, viene esiliato a Barbiana, quasi in un ideale penitenziario ecclesiastico.
È il 7 dicembre 1954, in una giornata fredda, piovosa, con un vento di tramontana che penetra nelle ossa. Qui, come aveva fatto a Calenzano, va a trovare i ragazzi sparsi per le pendici del Monte Giovi e apre per loro una scuola. È in questo esilio che termina il libro Esperienze Pastorali iniziato a Calenzano ed è qui che nascono Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù.
Bello il libro di Eraldo Affinati. Si legge con piacere.
L’autore tiene alta la figura di don Milani, quasi a eternare nel tempo una promessa non mantenuta negli anni successivi alla morte del priore.
Barbiana non può essere ridotta a “Trucioli di utopie che hanno appassionato più di una generazione”. •

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