Montottone: profumo di terra, aria buona, silenzio, pace
Foschia azzurrina lungo la valle dell’Ete vivo. È presto perché il sole s’impadronisca del mattino. Timido accenno di primavera. Il fiume ha fatto danni. L’erosione è ben visibile. Coprire a piedi un tratto sino alla «Madonna delle Cataste» di Ponzano di Fermo è impresa ardua. Le auto volano. Sentieri non ce n’è. Di che turismo parliamo?
Mi tamburella in mente Francesco Gabbani: «Intellettuali nei caffè. Internettologi. Soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi. L’intelligenza è démodé». Non solo l’intelligenza, anche la libertà: «Nella tua gabbia 2×3 mettiti comodo… Coca dei popoli. Oppio dei poveri. AAA cercasi. Umanità virtuale. Sex appeal ». Al virtuale preferisco l’erba bagnata di cristalli.
Doveva essere una piccola chiesa. È un giro di archi rimasto incompiuto. Si dice che negli anni venti dell’altro secolo apparve la Madonna su una catasta di legna. A un contadino o una pastorella… se n’è persa la traccia. S’iniziò un piccolo tempio, mai terminato. Strani fatti successivi: di cappucci e incappucciati.
Occorre l’auto. Destinazione Montottone. In un campo decine di rotoballe. Prima la campagna pullulava di pagliai a punta. Altro paesaggio. Altra gente.
Cavalli negli stazzi. Qualcuno pensa a ippovie. Magari le realizzeranno prima delle pedovie.
Si sale. Alla periferia, il santuario della Madonna delle Grazie a croce greca.
«Storia. Arte. Colli ameni» recita la scritta anni cinquanta che m’accoglie. Sulla torretta che fungeva da controllo della porta medievale, una più recente pubblicità: Bar Rosita.
Gli anziani godono del sole. Ora fa quasi caldo. Una lapide ricorda il canonico Vincenzo Lucarelli: nel 1847 istituì l’Opera Pia di Beneficenza e Assistenza. Era vera carità o sussidiarietà.
Montottone resta celebre per gli artigiani di ceramica. Due immagini lo raccontano su di un muro.
È pieno Risorgimento: Corso Vittorio Emanuele II, via Cavour, via Regina Margherita… Una minuscola stanza, dalla porta in basso corrosa, ospita l’associazione Combattenti e Reduci: due tricolori un po’ sbiaditi e un elmetto dei fanti di Vittorio Veneto: l’immane massacro, «l’inutile strage».
Nessuno nel rettangolo più alto del paese. Piazza Leopardi. Un muretto dinanzi alla catena dei Sibillini bianchissimi. «Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura». Paesaggio, poesia e ancora le parole di Gabbani: «Piovono gocce di Chanel. Su corpi asettici. Mettiti in salvo dall’odore dei tuoi simili. Tutti tuttologi col web».
Palazzo Amici è fasciato all’ultimo piano, il passaggio alla collegiata di san Pietro, dirimpetto, è impedito. Sulla collina opposta, il convento di san Francesco, sbarrato al pubblico. Nel retro ospitava la comunità L’Aurora sgombrata per terremoto.
70 ragazzi frequentano asilo, elementari e medie. Stesso edificio.
C’è profumo di terra. Aria buona. Silenzio. Pace. Dicono non sia ricchezza. Sarà la più grande.
È l’anno dei borghi. Ne parlano i convegni. A me piace raccontarli. Qui non è «panta rei», né il «Budda in fila indiana».
Qui c’è la ricchezza del futuro. Il vero PIL. Basterebbe solo capirlo.