Fermo: presentato il libro di Catini alla Camera di Commercio
70anni fa: il 5 settembre del 1946, don Luigi Sturzo tornava in Italia dopo l’esilio statunitense.
Il Fascismo era caduto, l’Italia aveva votato per la Repubblica.
Il prete di Caltagirone, fondatore nel 1919 del Partito Popolare Italiano, poteva rimettere piede nel suo Paese senza pericoli per la sua vita. L’uomo e l’opera sono stati raccontati con penna leggera e capace da Stefano Catini, giovane scrittore abruzzese oggi residente a Roma.
Catini ha presentato Sturzo, l’uomo degli altri, sabato 11 febbraio (tra l’altro anniversario dei Patti Lateranensi), presso la Camera di Commercio di Fermo (ore 17,30).
Una storia in bianco e nero raccontata a colori che dalla provincia di Caltagirone ci porta a Roma, Parigi, Londra e New York nel tentativo di raccontare le grandi battaglie di Luigi Sturzo. La storia di un uomo, di un prete e di un politico che come un moderno san Francesco rivoluzionò la Chiesa e l’Italia stessa dall’interno, senza clamore, senza violenza. Soprattutto la storia di un esule raccontata leggendo tra le righe di epistole ufficiali, lettere private e cronache dell’epoca che svelano la forza e i turbamenti di un uomo mille volte in ginocchio che sempre si rialza e come un faro illumina uomini e donne di qualunque pensiero pronti a sacrificarsi per la libertà.
Il volume edito dalle Edizioni Nuova Cultura e Istituto Luigi Sturzo ha il pregio di essere scritto in modo accattivante; di indagare su un personaggio fondamentale nella vita politica novecentesca, ma dimenticato; di rompere gli schemi della cultura accademica imbozzolata molte volte in se stessa; di arrivare dritto alla gente comune; di apparire quasi una sceneggiatura cinematografica; di cadere in un periodo di dissoluzione politica e sociale. Sturzo fu, tra le altre cose, uno strenuo difensore delle autonomie locali, dei comuni, della piccola proprietà, delle botteghe artigiane, della libertà di educazione. Il tutto partendo dalla constatazione delle condizioni di vita terrificanti dei minatori, delle loro vedove e dei loro figli in Sicilia, e delle «miserie inaudite in un quartiere popolare del centro di Roma». Non si poteva restare indifferenti. Posizione molto simile a quella di Papa Francesco oggi. •