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Paradosso di Easterlin

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La felicità non dipende dal reddito, ma dalle relazioni umane

Il paradosso di Easterlin o paradosso della felicità è una nozione introdotta nel 1974 da Richard Easterlin, professore di economia all’Università della California meridionale e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, il quale, ricercando le ragioni per la limitata diffusione della moderna crescita economica, concluse che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Secondo Easterlin il paradosso consiste nel fatto che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire, seguendo una curva a U rovesciata.
Il concetto espresso dalla frase «la ricchezza non produce la felicità» è dibattuto fin dai tempi antichi.
Già in Aristotele si legge: «è chiaro che non è la ricchezza il bene da noi cercato: essa infatti ha valore solo in quanto “utile”, cioè in funzione di qualcos’altro».

Questa idea si ritrova espressa in modo diverso anche nel pensiero economico moderno a partire da quello del filosofo scozzese Adam Smith, considerato fondatore dell’economia politica moderna, che evidenzia come “il figlio del povero lavora giorno e notte per acquisire talenti superiori ai suoi concorrenti” spinto dall’idea ingannevole che il ricco sia più felice o possieda “maggiori mezzi per la felicità”, ma, in realtà, essendo la capacità di godere dei beni fisiologicamente limitata, l’uomo ricco può consumare poco di più del povero, la cui minor quantità di beni è compensata dalle minori preoccupazioni e dalle migliori relazioni sociali rispetto al ricco che vive continuamente in ansia per i suoi beni, ed invecchia solo e deluso per non aver raggiunto la felicità e per di più invidiato dai suoi concittadini.
Successivamente anche gli economisti Arthur Cecil Pigou (1920), John Kenneth Galbraith (1958) e gli psicologi Brickman e Campbell (1971) avevano messo in evidenza l’utilità limitata del reddito sul benessere della persona o, più in generale, sul benessere sociale. In seguito all’enunciazione di Easterlin si è sviluppata una vera e propria sezione dell’economia che, traendo spunto anche dalla precedente economia del benessere, ha dato un forte impulso agli studi sulla relazione tra economia e felicità.
Il paradosso di Easterlin ha messo in crisi l’impostazione mondiale dei mercati indirizzati alla crescita misurata sulla base del Prodotto Nazionale Lordo / Prodotto Iinterno Lordo ed ha portato economisti e psicologi ad interrogarsi più approfonditamente su che cosa intendono le persone per “felicità”, che cosa le rende “felici”? Se, infatti, raggiungere il benessere economico non garantisce una vita felice, il paradosso di Easterlin induce a riflettere su quali obiettivi, quale stile di vita è meglio perseguire e quali sono le prospettive di benessere sociale (welfare) per una società che intenda mettere la persona e i suoi bisogni al centro di ogni decisione pubblica.
Se indichiamo con F la felicità di un individuo (considerandola una variabile misurabile cardinalmente), con I il reddito (inteso come mezzi materiali), con R i “beni relazionali”, e ignoriamo altri elementi importanti, possiamo scrivere:
F = f(I,R). Possiamo esprimere cioè la felicità come una funzione del reddito individuale e beni relazionali. Se è vero e ragionevole supporre che l’effetto complessivo del reddito (I) contribuisce direttamente alla felicità soprattutto per bassi livelli di reddito, bisogna anche considerare che, dopo aver superato una certa soglia, questo può diventare negativo poiché l’impegno per aumentare il reddito (assoluto o relativo) può produrre sistematicamente effetti negativi sui beni relazionali, sulla qualità e quantità delle nostre relazioni (ad esempio a causa delle risorse eccessive che impieghiamo per aumentare il reddito e che sottraiamo ai rapporti umani), e quindi, indirettamente, potrebbe smorzare, o addirittura ribaltare l’effetto totale diminuendo la felicità.
Una delle macroconclusioni sembra essere quindi che ricchezza (o utilità) e felicità (o benessere sociale) non sono la medesima cosa, perché per essere più felici non basta cercare di aumentare l’utilità (prodotti, beni, servizi), bensì, almeno in maniera prevalente, è necessario addentrarsi nella sfera della relazione tra le persone. Tra le tante soluzioni proposte, lo stesso Easterlin suggerisce che, poiché ciascun individuo possiede un certo ammontare di tempo da allocare tra diversi domini monetari e non (quali reddito e beni materiali, famiglia, stato di salute, lavoro, stabilità emotiva, autodisciplina) per aumentare la propria felicità, sarebbe meglio destinare il tempo a quei domini in cui l’adattamento edonico e il confronto sociale sono meno importanti, ad esempio nei beni relazionali o “beni non posizionali”. • (da Internet)

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