Smerillo, valle cupa: bovini di razza marchigiana e non solo
Due querce secolari. Possenti. Quasi due secoli di vita. Come una quinta di teatro sui Sibillini innevati.
Mi trovo in Contrada Valle Cupa. Un saliscendi – più scendi che sali – dopo la deviazione a destra da San Martino al Faggio verso Ceresola. Frazioni di Smerillo.
Un mini – escavatore giallo è all’opera più in basso. Alzo la mano, scende Giovanni Iezzi dell’omonima azienda agricola. Sta sistemando un letamaio. La neve ha fatto danni. Con il primo sole si riparano i guasti.
Pantaloni mimetici, scarponi infangati, maglione crema, berretto nero da sciatore, due spalle da gladiatore e due mani forti, di quelle abituate da sempre a lavorare. Giovanni ha 45 anni.
Nell’azienda, che fu del padre, alleva bovini di razza marchigiana. «50 capi di vitelli e di fattrici» mi spiega inorgoglito dal fatto che la razza marchigiana sta riprendendo quota dopo un lungo abbandono nelle nostre campagne.
Nei mesi buoni, il suo bestiame pascola libero sui dieci ettari di proprietà. Di terra ne ha di più: 100 ettari, più un’ottantina in affitto. Sembra un’enormità. Ma Valle Cupa è alta collina, di piano c’è veramente poco: molta e ripida invece la parte restante dei terreni. Impegno duro.
Giovanni, con sua moglie Ramona-Valentina che viene dalla Romania, produce e coltiva con sistemi biologici l’alimentazione per i bovini che, arrivati al momento giusto «e non un minuto di meno», vengono macellati e la carne posta in vendita in uno spaccio locale.
Anche il bosco è una risorsa. D’estate, dopo il taglio, la legna viene venduta a quanti amano il caminetto in casa o mantengono la stufa tradizionale. Insieme al fratello Giuseppe, laureato in scienze forestali, Giovanni ha anche una piccola compravendita di veicoli.
Il capannone accanto alle querce è disastrato. Prima il terremoto, poi la neve e le piogge. Serviva come ricovero di trattori e come magazzino di granelle. In un angolo c’era pure un piccolo molino per gli «sfarinati» dei bovini. Gli uni e l’altro sono stati spostati altrove.
I danni arrivano anche dai cinghiali che «stufano», sconvolgono il terreno. Da qualche anno ci si sono messi pure i caprioli che «scortecciano le piante», seccandole e portandole alla morte.
I rimborsi promessi da tre anni non sono mai arrivati. C’era una mezza idea, insieme ad altri agricoltori, di inscenare una manifestazione di protesta. Chissà.
Giovanni non è un assistenzialista. «Non vogliamo contributi». Chiede solo alle istituzioni di sostenere le piccole aziende con infrastrutture idonee.
La vita agricola in alta collina è dura. Le rese minime. Le quantità impossibili.
«La gente dovrebbe capire che quello che conta è la qualità: qualità è salute. Occorrerebbe un’educazione». Compito anche delle istituzioni: sostenere la qualità e promuoverla.
La famiglia Iezzi (ci sono anche Aurora di 6 anni e mezzo e Manuel di 4 e mezzo) sta pensando anche al turismo. Magari un B&B o un agriturismo.
«Sicuramente è una carta da giocare», me lo dice indicando un sentiero che scende. «Porta al fosso Castiglioni. Procedendo, si arriva ad una sorgente di acqua sulfurea. Da valorizzare». •