Blue Whale: vinci se muori

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Suicidio per gioco: un gioco al massacro che conta già diverse vittime, inventato da una mente diabolica e proliferato in maniera fungina sul web. Un gioco più “scientifico” di una cartella dell’Equitalia.
Si chiama blue whale, probabilmente in riferimento all’istinto che porta le balene alla deriva per lasciarsi morire. Lo squilibrato ha preso di mira giovani vite, fiori in boccio, che vuol con logica follia “resettare”, in una sorta di autoannientamento assistito: e più sono gli “adepti”, meglio è, ché il demone della distruzione “dopo ‘l pasto ha più fame che pria”.
La rete invischia i cybernauti, la manipolazione delle coscienze è molto più facile perversa intrusiva verso chi non ha ancora un ego solido e vive il momento difficile e delicato dell’età evolutiva. Il lavaggio del cervello consiste nel far credere alla mosca intrappolata nella ragnatela che le varie tappe del gioco – che sfocia nella istigazione al suicidio e in parecchi casi nel suicidio – siano il percorso di un progetto che corona una vita, se così si può dire: dapprima con maliose cattivanti induzioni alla tentazione, poi – a comprova dell’appartenenza a questo nuovo credo “mistico” – con tagli sulle braccia o affacci sul vuoto, per provare in anteprima il brivido del volo fatale: e avanti avanti con improbabili sveglie alle 4:20 e imposizioni di ascolto di musica tanto disperante, che già vi si annusa il lezzo della morte.
La pw è: depressione, stanchezza di vivere, percezione dell’insostenibilità dell’esserci: the game is over.
Le Iene hanno intervistato alcuni genitori di questi adolescenti gettatisi tra le braccia irsute della Falce: raccapricciante ne è il quadro, dentro la cornice di un dolore che non ha nome. Ragazzi sorridenti, adolescenti straripanti di vita e di voglia di vivere, improvvisamente infilatisi nella disperazione di un tunnel senza via d’uscita, in un cul-de-sac che inghiotte l’anima. Ma è mai possibile che si debba morire – “immortalati” da uno smartphone – non volendolo, che una mente diabolica possa ergersi impunemente ad arbitro dell’altrui “essere”?… è accettabile che non si possa normativizzare un blackhole come il web, che sempre più stringe nei propri inesorabili tentacoli le malcapitate vittime, e in cui danzano come impazziti miliardi di bytes?… chi ci porrà al riparo da questi rischi, chi difenderà la carne della nostra carne, chi ci dirà che “tutto va bene” quando invece il silenzio cala plumbeo raggelante sulle vite dei nostri figli, e noi vediamo spegnersi in loro il sorriso, “sentiamo” tacere qualcosa più grande di loro?
Gli atteggiamenti delle vittime spesso sono spia, ma non sempre tradiscono la reale volontà: non sempre riusciamo a indovinarne i pensieri, i segreti inconfessabili, i silenzi eloquenti e scuri come un cielo gravido di procellarie, e questa è una lotta titanica, ma non “terrestre”: una gara tra il Male e il Bene (rigorosamente con le iniziali maiuscole), una sorta di anticipazione dell’Apocalisse giovannea. Ma dove si arriverà mai?…che ne sarà di questi cuccioli d’uomo, stritolati dal non senso di una temperie a-mente?… Che il Signore vegli sui passi dei nostri figli e abbia misericordia di chi ha compiuto un gesto inconsapevolmente: non però di chi ha inventato questa escalation perversa e pervertitrice, perché – a costo di riesumare oscurantismi medievali, e di sfidare il Tribunale del Giudizio – costui merita non solo (e non tanto) la riprovazione degli uomini ma, in quanto essere che ha superato ogni umana abiezione (l’hybris dei Greci), il castigo della Geenna, nel cui fuoco perenne bruciano le “anime prave”, “a mal più ch’a bene” use. •

Adolescenti, sobillati da veri e propri criminali presenti sui social, decidono di accettare cinquanta sfide, sempre più estreme, che li trasformano e li portano fino alla depressione. Se la regola generale è quella di non dire nulla ai genitori, l’ultima sfida, quella finale, è il suicidio, ovviamente con tanto di ripresa video degli amici a ferale testimonianza.

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