Sedotti dall’odore salmastro
Di terra alberi monti e colline ho scritto tanto.
Volgo uno sguardo al mare, stavolta, al nostro mare, a quello compreso tra due montagne, come sentenziava Fernand Braudel, unendo l’Est all’Ovest, i Balcani agli Appennini, le pietre d’Istria che venivano da là, agli agrumi, olio e vino che s’imbarcavano da qua. Uno scorrere di tempi e di navi. Unione più che frattura. Sino ai nazionalismi stupidi.
«Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento», è sempre il paesologo lucano a disegnare necessità/speranza per un futuro altro.
Il vento richiama le vele, e le vele le acque. E le acque i suoi protagonisti: i pescatori, le loro imbarcazioni, le loro paure, le loro donne.
Per una sera di fine settimana, sarebbe utile ai giovani vivere un altro spettacolo. Lasciati i locali di musiche assordanti e di mix alcolici, che possano invece guardare l’Adriatico (Golfo di Venezia, Piccolo mare) e le sue genti. Che vadano, a notte inoltrata, all’imbocco che conduce al porto della pesca. Vadano a piedi, annusando l’aria salmastra e udendo lo sciabordio delle acque. A precederli i natanti impalcati per la manutenzione: la chiglia dai nomi celebri: Nettuno, Odysseo, Borea, Oceanis… Mito ed infinito.
Fatta la curva, superata la pietra vecchia con dentro la pergamena di quando s’iniziarono i lavori, come lucciole sempre più grandi e prossime vedranno i pescherecci tornare e capteranno le prime voci farsi sempre più forti e pure quasi rispettose del buio e di ciò che esso avvolge.
Il Mercato ittico di Porto San Giorgio alle tre inizia ad animarsi. Alle quattro è in gran movimento.
La struttura è originale: quasi una balena, sicuramente un pesce che scavalca le onde e torna a tuffarsi in esse. Cemento e ferro l’interno, e seggiolini blu ad accogliere venditori e acquirenti. Il pesce scaricato, messo in cassetta scorre su di un nastro come valigia di viaggio. E poi quotazioni. E vocio.
Le imbarcazioni sono all’ormeggio dondolanti, gli uomini hanno occhi arrossati da sonno e fatica. Un mondo!
Un mondo che, quando le reti si stendevano al sole e si rattoppavano a mano, era ricco di racconti leggendari.
Come quella narrata dal vecchio Marinaio di Samuel Taylor Coleridge: «Con le gole riarse, nere le labbra, Né potevamo ridere, né gemere; tutti stanno muti per l’arsura! Mi morsi il braccio, succhiai il sangue, e gridai: “Vela, una vela!”». Era la nave fantasma, abitata solo da spiriti incorporei, e spinta da nulla: né corrente né vento. Il vecchio Marinaio con la sua balestra aveva colpito a morte un albatro gentile, e ne pagava ora, con la sua intera ciurma, le dure conseguenze.
O lo scione: il vento strano di cui trattava anche Plinio come vento pericoloso ed improvviso. Quante madri, sorelle e figlie, dagli scialli sfrangiati e neri, ad attendere sulla spiaggia il ritorno dei propri cari nella tempesta in corso.
Ma il mare è anche festa, ricchezza, risorsa. Un mondo, appunto, da riscoprire e amare al di là di ogni gara. •
Ma il mare è anche festa, ricchezza, risorsa. Un mondo, appunto, da riscoprire e amare al di là di ogni gara.
Bellissime parole