Bobby e la mia infanzia

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Maia, razza bassotta, è la mascotte dei miei due nipotini. Ce l’hanno da quando sono nati. Ci giocano, la rincorrono e lei si fa accarezzare. A me tocca il compito di portarla fuori, di solito, due volte durante la giornata, una al mattino e l’altra alla sera. I figli acquistano i cani, poi chi deve pensare a loro sono i genitori. Succede forse così anche ad altri papà, mamme, nonni e nonne. Sono incarichi che si fanno comunque di buon grado quando c’è di mezzo la serenità della famiglia.
Sono cresciuto con cani e gatti fin da piccolo. Da ragazzo vivevo in campagna a Santa Lucia, frazione di Morrovalle. Mio zio Alberto era un appassionato cacciatore. Chi ha questa passione deve avere anche l’amore per i cani da caccia, capaci di scovare la lepre e di puntare qualsiasi volatile. Pointer, Setter, erano le razze canine di cui sentivo spesso parlare. I cani di mio zio erano un incrocio tra queste razze e altre. Per metà erano da caccia e per l’altra metà facevano anche la guardia alla casa.
All’ora di pranzo, appena sentivano che in casa si sbattevano casseruole e piatti, come a un segnale convenuto, si mettevano ad abbaiare. Era segno che anche loro reclamavano di mangiare. Ricordo che, per non sentirli, mangiavano prima loro di noi. In fatto di alimentazione, non c’erano tutte le attenzioni di oggi ma mangiavano solo se erano in grado di correre a perdifiato dietro una lepre. Mio zio era il più solerte nella loro cura e coinvolgeva anche me e mio fratello.
Di tutti i cani avuti, ne ricordo uno in particolare. Lo chiamavamo Bobby. Era di taglia media, pelo corto, due occhi che a guardarli sembravano che parlassero, tanto era intelligente e affettuoso. Accompagnava mio zio e mio papà che aravano la terra col trattore, un cingolato Fiat. Bobby era capace di seguirli su e giù per i campi. Sul far del mezzogiorno, quando i miei sospendevano il lavoro, per andare a mangiare, lui li seguiva e consumava nella sua cuccia, posta sul limitare dell’aia, la propria razione di cibo.
Spesso, mio papà e mio zio aravano anche i campi di alcuni vicini che non avevano l’attrezzatura necessaria. Abitavano sull’altro lato della strada rispetto alla nostra abitazione. Erano “li curtinà”; possedevano una piccola corte (dal latino curs, curtis) con poca terra. Quando i miei staccavano e ritornavano a casa per mangiare, Bobby si accovacciava sotto il trattore come per fargli la guardia. Un pomeriggio inoltrato sentii un botto. Bobby, che stava attraversando la strada, per ritornare a casa, fu investito da una macchina. Mi precipitai fuori. Il primo ad accorrere fu mio papà. Bobby era riuscito da solo a guadagnare la stalla, guaendo ma non più di tanto. Lo prendemmo delicatamente e lo mettemmo in un canestro di vimini coperto con paglia. Sperammo che guarisse, apparentemente non aveva nessuna ferita. Mio zio non era in casa. Avevo sempre sentito che i cani hanno sempre un loro recupero insperato. Bobby aveva avuto delle gravi lesioni interne. Aspettò solo il ritorno di mio zio. Quando lo vide arrivare, chiuse gli occhi.
È stato proprio mio fratello, più piccolo di me di tre anni, a ereditare la passione per la caccia. Anche oggi che ha superato i sessant’anni è uno stimato cacciatore, conosciuto da tutti in paese. Ama i cani come se fossero sue creature. Li cura quando stanno male, compra per loro tutti gli alimenti di cui hanno bisogno. Nelle poche settimane di caccia batte con loro i campi di cui conosce ogni avvallamento e fossato. È nato come me in campagna e ricorda la cura che mettevano mio papà e mio zio nella coltivazione dei campi. Dopo l’aratura e la semina aprivano sul terreno, a spina di pesce, i famosi “acquaricci”, piccoli solchi che convogliavano l’acqua piovana sul fosso più grande. Oggi, contadini non ci sono più. Quelli che lavorano la terra con grandi mezzi meccanici hanno poco tempo per curare i dettagli. Arano centinaia d’ettari di terra, parte di loro proprietà ma la maggior parte in affitto. Il capitale da ammortizzare è enorme. Corrono da un luogo all’altro per arare, seminare, raccogliere. Il tempo diventa tiranno per loro. Mio fratello è testimone di tutte le trasformazioni subite dal nostro territorio negli ultimi cinquant’anni: pozze d’acqua inquinata, terreni privi di vegetazione e arsi dal sole. Qualche volta ha dovuto portare il proprio cane dal veterinario perché aveva bevuto acqua marcia raccolta in pozzanghere. Spesso porta con sé da casa capaci borracce colme d’acqua per dissetare i cani.
Santa Lucia, Borgo Pintura, Passionisti, Cunicchio, Culmici, Colli Asola, Burella, Maragatta, Castellano, sono frazioni e contrade che formano il contado di Morrovalle, da qui il termine di contadino, chi abitava in campagna e lavorava la terra. Oggi, contadini, che abitano nelle antiche case coloniche di un tempo, non ci sono più. Si contano sulle punte delle dita quei pochi che, ristrutturata la casa dei genitori, abitano ancora in campagna ma non lavorano la terra. Tante case coloniche ristrutturate sono diventate seconde abitazioni di chi non ha nulla a che vedere con la terra e con i lavori agricoli. Cani, gatti, animali da cortile, mucche nelle stalle e maiali non ci sono più. Il canto del gallo, lo starnazzare delle papere e delle oche, il chiocciare delle galline, l’abbaiare dei cani hanno accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza e me ne vanto, perché rappresentano per me qualcosa che altri non hanno mai avuto. •

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