La vita quotidiana nel tempo del Coronavirus

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Nonno Raimondo tra ricordi, nostalgie, letture. Uno sguardo sapienziale sulla vita.

Oggi è l’undici marzo 2020. Si susseguono bollettini sui contagiati, sui decessi, sui guariti. Il bicchiere purtroppo è ancora del tutto vuoto, nemmeno mezzo pieno. Al mattino, appena alzato, Italia Uno trasmette il cartone animato Heidi. Lo guardavo assieme a mia figlia, quando era piccola. Sono invaso da tanta nostalgia, per il tempo trascorso. Oggi, la nipotina più piccola vede Masha e Orso. Sul balcone di casa, catturo sul palmo della mano una coccinella, è la prima che osservo in questi giorni. Sale sulla punta delle dita e vola via. Una volta nel suo volo vi vedevo l’annuncio della primavera. Oggi si fa fatica a pensare a questo. E’ un inverno senza fine, anche se le giornate sono soleggiate e con l’aria tersa.
I giorni srotolano via sempre uguali. I nipotini non escono da casa. Al mattino, molto presto, e nel tardo pomeriggio, porto il cane sotto casa, per una breve passeggiata. Oggi è il sedici marzo. Dopo due giorni esco solo oggi per fare la spesa. La mattinata passa abbastanza in fretta. I bambini si svegliano tardi. Il più grandicello riesce a fare i compiti assegnati dalle maestre. La seconda è intenta quasi sempre a colorare. Verso mezzogiorno si affacciano sul terrazzo, per un momento di svago, dieci minuti al massimo. Sono solo loro tre con la mamma. Se rimangono sempre in casa diventano irrequieti.
Rientrati in casa, la prima cosa che fanno è di precipitarsi in bagno per lavarsi le mani. La più solerte è la più piccola. Appena entra nell’appartamento, si tira su i polsini della felpa per non bagnarli, poi mette le mani sotto il rubinetto dell’acqua. Presa in braccio dalla mamma, perché non arriva all’altezza del lavandino, si lava le manine. Gli altri fanno quasi sempre da soli ma devono essere controllati comunque perché non sono ancora del tutto autonomi. Basta un nonnulla per bisticciarsi. Quando si mettono a tavola per il pranzo, mangiano quel che c’è senza difficoltà. Finito il pranzo, guardano la televisione o giocano con tutto ciò che hanno sulle mani. Hanno anche inventiva.
Nel tardo pomeriggio, dopo la quotidiana lettura del bollettino diramato dalla protezione civile sui contagiati e i decessi, trovo il tempo di ascoltare sulla Chat dei Salesiani Cooperatori un’intervista a mons. Angelo Comastri. Siamo nella tempesta, dice il cardinale, ma Dio è sopra la tempesta. Non ci abbandona. Dobbiamo affidarci a lui. “Dio ci ha dato tutto il pane / per sfamare tanta gente. / Dio ci ha dato tutto il pane / anche se non abbiamo niente”. E’ un canto che mi ha accompagnato nei primi anni settanta, quando frequentavo l’Università; lo cantavo assieme agli amici di Comunione e Liberazione. Anni distanti nel tempo ma vivi nel ricordo. L’epidemia ci invita a fare un grande bagno di umiltà, continua Comastri: “Dio è la trave che tiene il tetto. Se crolla il tetto, crolla tutto”.
Sempre nella stessa chat mi riempie di commozione il messaggio video che proviene dal Kenya. Sono bambini e bambine che gridano: “Forza Italia. Tutti insieme ce la faremo. Siamo tutti con voi. L’’Italia è una nazione fortissima. Ha superato tantissimi ostacoli nella propria storia. Viva Italia. Forza Italia”. E’ bello vedere gesti di solidarietà che provengono da un paese lontano. Sono bambini e bambine, con la loro catechista, che vivono situazioni di povertà anche più tragiche. Sono i poveri che capiscono per primi le difficoltà in cui versano altri loro fratelli. Ci sono versi di un canto che ripeto sempre a me stesso in questi giorni e non solo: “C’è una terra fatta di cose / che ancora pochi sanno vedere. // Sono strade sospese nell’aria / Sono frutti di un altro sapore / Sono fiori sbocciati per sempre / Perché come fiori han saputo morire” (Gen Rosso, Sono strade).
Il bollettino della Protezione Civile, oggi martedì 17 marzo, non è affatto confortante. Aumentano sia i contagi sia i decessi. Uno spiraglio è dato solo dal numero dei guariti, di poco superiore ai morti. Nel bollettino del 18 marzo, i guariti sono 4.025. Aumentano i decessi, 2.978. E’ una tristezza indicibile. Dietro ad ogni decesso ci sono volti, storie, affetti, vite spezzate. Passerà questo tempo. Vorremmo che fosse già domani. Oggi, invece ci è dato vivere questi giorni di buio. E’ di conforto la solidarietà manifestata da tutti verso chi è in prima linea a combattere contro il mostro che è venuto a scompaginare le nostre false certezze. Sono medici, infermieri, personale della protezione civile, volontari. Passata la tempesta, ad oggi non è dato sapere quando finirà, niente sarà più come prima. Peserà su tutti il ricordo di tanti, troppi morti.
Ci scopriamo fragili e indifesi. Eppure, in questa tragedia immensa, nelle molte ore che passiamo da soli, nel silenzio più assoluto, dobbiamo trovare la forza per pregare cantando: “Sono come la polvere alzata dal vento, / sono come la pioggia caduta dal cielo, / sono come una canna spezzata dall’uragano / se Tu, Signore, non sei con me” (Claudio Chieffo, Io non sono degno). E ancora: Torniamo a sperare / come primavera torna / ogni anno a fiorire” (David Maria Turoldo). •

Non si possono dimenticare i camion militari che sfilano per le strade di Bergamo per portare in fuori regione, le bare dei defunti di ieri 18 marzo 2020, perché il forno crematorio della città non riesce a trattare più di venticinque salme al giorno. E’ una tristezza senza fine. Ti prende alla gola e non ti lascia più. Bergamo, Bèrghem in dialetto bergamasco, la casa sull’altura, in tedesco moderno heim è la casa, berg è l’altura, è una delle città più operose della Lombardia. Vi abitano e lavorano persone che conosco e che si trovano, da operatori sanitari, in prima linea a fronteggiare l’epidemia. A loro va tutta la mia stima e la mia vicinanza. Sono i nuovi angeli del pronto soccorso di Brescia e delle corsie dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo.
Quando abitavo a Giussano e insegnavo nella Scuola Media di Verano Brianza, se c’era da accompagnare gli alunni in qualche gita di istruzione nelle città lombarde, mi proponevo sempre. Ricordo di una visita fatta a Bergamo Alta. Con la sua cinta muraria la trovavo simile a Macerata, anche se con più monumenti storici. Nella città bassa, assai diversa, più industriale e dinamica, venni invitato in un anno imprecisato, assieme ad un collega della mia stessa scuola, presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale “Vittorio Emanuele II”. Avevamo fatto partecipare i nostri alunni ad un concorso: “Il giornale radio a scuola”. La giuria del concorso aveva apprezzato il lavoro fatto e volle discutere con noi il prodotto realizzato.
Un altro viaggio di istruzione ci portò invece a Crespi d’Adda, frazione del comune di Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo, a visitare il villaggio operaio di Benigno Crespi, eletto il 5 dicembre 1995 a patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Utilizzammo le riprese e le interviste fatte in loco per il progetto ricordato sopra. Sempre nella stessa giornata visitammo, sulla strada del ritorno, il battello di Imbersago, sponda lombarda del fiume Adda e il ponte in ferro di Paderno D’Adda, nonché la meravigliosa pista ciclo pedonale che costeggia il fiume. Nel 1977 andai con un amico di Usmate a Fontanelle, presso la Comunità Giovanni XXIII per un convegno su don Milani a vent’anni dalla morte. Indimenticabile anche la visita fatta con la scuola al sito Italia in miniatura presso Capriate, sempre in provincia di Bergamo.
Purtroppo il corteo di camion militari che portano le bare da Bergamo verso alcune città dell’Emilia Romagna continua anche nel fine settimana. Il bollettino della protezione civile emanato il 21 marzo registra il più alto numero di decessi da quando è scoppiata l’epidemia: 739 morti in un giorno solo. Il numero complessivo dei decessi è tragico, 4.825. Non si riesce a vedere la fine di questo incubo. Leggero calo delle vittime (651) e dei contagi secondo il bollettino di domenica 22 marzo, ma è troppo poco per essere ottimisti. Sono solo 88 decessi in meno, il numero complessivo delle vittime è salito ad una cifra spaventosa: 5.476; i guariti dopo aver contratto il coronavirus sono 7.024, 952 in più di sabato 21 marzo. Spaventoso è il numero dei decessi nelle Marche.
Intanto la vita quotidiana continua. Il momento più difficile è quando esco a fare la spesa. Ci vado il meno possibile e la faccio anche per mia figlia. Mi danno la nota con le cose da acquistare. Metto tutto dentro il carrello con un certo affanno, intento solo a fare presto, rispettando le regole sulla distanza da tenere da persona a persona e dal bancone. Metto tutto dentro due borse capienti, cercando di dividere gli acquisti. Non sempre ci riesco. Ho solo la fortuna di abitare a cinquanta metri dal supermercato. Adesso capisco perché, quando sono ritornato dalla Lombardia, tutti i parenti mi dicevano che avevo fatto la cosa giusta perché avevo trovato la casa vicino ad un supermercato. Pensavo che fossero discorsi privi di senso, invece erano esatti. Prima dell’emergenza, fare la spesa era l’occasione per fermarsi a chiacchierare con le persone, ora è solo una necessità. Abito sul fronte della statale adriatica. Mi affaccio dalla finestra di casa. Oggi, domenica pomeriggio, c’è il silenzio più assoluto. Non c’è traccia di macchine.
Quando sono in casa, solo con mia moglie, i nipotini sono da mia figlia, che abita a cinquanta metri da noi, seguo il commento del vangelo fatto da don Waldemar, don Giuseppe, don Ezio, don Alessio, i sacerdoti salesiani della parrocchia San Marone. Lo strumento utilizzato è il cellulare con la chat dei Salesiani Cooperatori. Il momento è una boccata d’ossigeno, senza sarebbe la morte per asfissia. Mi arrivano messaggi sull’altra chat, quella della Voce delle Marche, che leggo sempre dopo ogni squillo. Il resto del tempo lo trascorro al computer, scrivendo queste piccole note e altro. Leggo abbastanza e guardo qualche film di Alberto Sordi. Ho rivisto Il tassinaro, trasmesso su Cine trentaquattro – Mediaset. Lo sconforto comunque continua. Si chiude la giornata. Si va a dormire, ma è solo un dormiveglia. L’incubo continua la mattina dopo. •

Ci si mette anche il tempo a rendere ancora più tristi e uggiose queste giornate. Ieri, 23 marzo 2020, nella tarda mattinata ha provato anche a nevicare. In tempi normali, anche se la neve cadeva a marzo, era sempre un piacere vederla, oggi, proprio no. Siamo come sospesi. Il bollettino della Protezione Civile di oggi 24 marzo 2020 non è affatto incoraggiante. Scendono i contagi ma aumentano i decessi. Nell’isolamento della casa mi mancano terribilmente i nipotini. Sono ancora tanto piccoli. Alle 21,00 seguo su YouTube il Rosario dalla Santa Casa di Loreto.
In casa, trovo il tempo per rispolverare ricordi liceali. Ricordo alcuni versi di Albio Tibullo: “Quam bene Saturno vivebant rege, / priusquam tellus in longas est patefacta vias! / Nondum caeruleas pinus contempserat undas, / effusum ventis praebueratque sinum, / nec vagus ignotis repetens compendia terris / presserat externa navita merce navem” (A. Tibullo, Elegia). Come vivevano bene quando regnava Saturno, / prima che la terra fosse aperta a lunghi viaggi. / Non ancora pino di nave aveva sfidato le curule onde / né offerto ai venti il seno della vela spiegata / né il marinaio irrequieto in terre ignote, / cercando guadagni aveva caricato la nave con merci straniere.
Non occorre andare tanto lontani per fare paragoni con l’oggi. Basta rifarsi a settant’anni fa, quelli che ho. Famiglia contadina. Non c’era nulla, ma nel nulla c’era tutto. Non è la celebrazione del tempo andato. Il mondo negli ultimi decenni è andato avanti a ritmo vertiginoso ma senza una bussola. Da tempo si parla di delocalizzazione, globalizzazione, interconnessione. Viaggiano merci, persone, denaro. Un colpo di tosse in un qualsiasi punto del pianeta ha dei contraccolpi in luoghi anche molto lontani gli uni dagli altri. E’ cambiato tutto ma non si è riusciti a creare una governance di questi cambiamenti epocali. Prevalgono ancora egoismi diffusi. Eppure si è tutti sulla stessa barca.
“Il diavolo, come un leone ruggente si aggira, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede”. I pochi versi mi ricordano la recita di Compieta nella chiesa grande del seminario. Il vento, che si incanalava ai lati della Montagnola, mugghiava furioso come se si trattasse di un leone ruggente. Il Coronavirus si sta aggirando da Nord a Sud della nostra penisola e in ogni angolo del mondo con una ferocia inaudita. E’ venuto a scompaginare le nostre false certezze. Ci ricorda che in natura ci sono eventi e fenomeni contro i quali si combatte una impari lotta. Eppure ci siamo dati alcuni organismi di cooperazione internazionale, che sulla carta sono encomiabili. Esiste l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ci si chiede però perché mai ha messo così tanto tempo per dichiarare la pandemia. Nel mondo del calcio esiste l’Uefa, ci si domanda perché mai ha dato l’autorizzazione a far giocare a San Siro la partita di Coppa dei Campioni Atalanta – Valencia, il 19 febbraio 2020, quando si era già dentro l’emergenza epidemia.
“Il diavolo, come un leone ruggente si aggira, cercando chi divorare”. Il diavolo può vestire i panni del denaro, dello spettacolo fine a se stesso, di un pianeta malato perché sfruttato oltre ogni misura. Ne hanno parlato molti quotidiani. Nulla, se passerà questa tribolazione, dovrà ritornare ad essere come prima. Ce lo chiedono i troppi morti. Oggi, 27 marzo 2020, i deceduti sono stati 969; 46 i medici caduti sul campo. Sono gli eroi del nostro tempo.
Il cinismo poi dovrebbe essere bandito da ogni discorso. Qualcuno ha parlato di immunità di gregge. La persona umana paragonata alla pecora. Certo, non siamo nati per vivere qui sulla terra per l’eternità ma c’è una pietà che non deve mai venir meno. Enea, quando parte da Troia distrutta e in fiamme, si carica sulle proprie spalle il vecchio padre Anchise. Un momento straordinario di preghiera e benedizione urbi et orbi, presiedute da Papa Francesco, trasmesso in diretta su diversi canali televisivi, ha posto fine alla giornata. Abbracciare la croce di Cristo per abbracciare la speranza. È quanto ci ha detto il Papa. •

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