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Don Ettore Colombo

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Un contemplativo nel cuore di Fermo

Cento anni fa nasceva a Castellanza don Ettore Attilio Colombo. Un lombardo incardinato nell’arcidiocesi fermana.
Al di là dell’amore con cui si voglia accostare la sua figura, bisogna partire dalla complessità della sua esperienza e del suo vissuto.
Giovanissimo venne a ricoprire l’incarico di Segretario del Vescovo Norberto Perini, anch’egli lombardo e ricordava spesso gli anni della formazione seminaristica a Venegono, nel Seminario sorto per impulso del Card. Ildefonso Schuster. Il Seminario iniziò a funzionare dal 1935, quando don Ettore aveva 15 anni. Di questo periodo egli ricordava non solo gli studi seri e faticosi, ma anche alcuni studenti con alcuni dei quali mantenne rapporti epistolari negli anni successivi. Il ricordo più commovente si soffermava però sul Cardinal Schuster, per il quale aveva sempre parole non solo di stima intellettuale, ma anche di affetto e quasi di venerazione, quelle cioè per un uomo di Chiesa che sarà fondamentale nella formazione del giovane seminarista e poi del suo apostolato fermano.
Schuster, monaco benedettino, è stato un importante studioso della Liturgia, dell’arte sacra, della storia monastica, tutte caratteristiche che in qualche modo hanno influito anche su don Ettore, sempre attento alle celebrazioni, sensibile alle arti, orientato all’esperienza contemplativa.
E che fosse in qualche modo interessato ad ogni espressione artistica, anche contemporanea, è testimoniato per esempio da un biglietto di auguri per il Natale 1993 inviato ad un amico pittore di Porto San Giorgio, nel quale scrive:
«Il Signore faccia risplendere il “Suo” volto su di te, Fausto, e ti dia pace e bene, nella salvezza, offerta a tutti gli uomini di buona volontà;
possa tu essere ostensorio di sì stupenda presenza luminosa (Dio è luce, dice Giovanni) per farla traslucere, anche attraverso la tua capacità artistica, attorno a te, perché gli uomini trovino l’orientamento che a Dio conduce; è l’augurio che ti può, e si deve fare, a un pittore, ad un artista a cui Dio ha donato stupende capacità perché possano essere profeti tra gli uomini-animali Buon Natale
con stima don Ettore
Ricordami ai tuoi cari per i quali i miei vivissimi auguri»

Ci si chiede quanto per esempio, soprattutto col Concilio Vaticano II, l’esperienza sacerdotale di don Ettore abbia attinto a quella di Schuster che aveva partecipato al Movimento liturgico in cui inizia a farsi strada una diversa Ecclesiologia più attenta al coinvolgimento del popolo, dentro una concezione di Chiesa quale Corpo Mistico di Cristo. Lo stesso, poi, che aveva tradotto parti del Messale e invitato i parroci a favorire la migliore e consapevole comprensione della liturgia da parte del popolo, in modo che fosse momento cardine di una spiritualità vissuta collettivamente. Mi chiedo a questo proposito se sia casuale che nelle messe celebrate da don Ettore la Comunione avvenisse in entrambe le specie-
Quanto al suo interesse specifico per gli studi liturgici di Schuster, ricordo che nella sua biblioteca, ricca di testi studiati e compulsati sopra la scrivania che era stata dell’arcivescovo Carlo Castelli, figurassero alcuni volumi del Liber sacramentorum (Note storiche e liturgiche sul messale romano).
La propria origine lombarda non venne mai dimenticata da don Ettore che sempre si è sentito (e a volte ironicamente si definiva) ambrosiano. D’altra parte anche il suo modo di curare gli abiti, il suo comportamento austero, apparentemente distaccato ma in realtà sobrio e compartecipe dell’altro che arrivava a scrutare negli occhi, il parlare pacato, misurato nelle parole e nei toni, il sorriso a volte venato di sottile ironia, tutto rifletteva un modo tipicamente lombardo a cui gli anni di Seminario avevano dato struttura e senso. Tanto era affezionato a questa origine che negli anni fermani continuava a seguire le vicende della Diocesi milanese non solo attraverso le cronache dei quotidiani, soprattutto Avvenire, ma facendosi spedire il relativo Annuario.
Sempre in lui è rimasto un certo rammarico di non essere stato destinato a ricoprire a Milano un ruolo pensato per lui da Montini per l’intervento (lui raccontava) dello stesso Arcivescovo di Fermo che lo volle tenere accanto a sé come collaboratore. Mi raccontò che Perini, vistolo deluso per il mancato trasferimento, gli aveva detto più o meno: “… ma dove vuoi andare, non lo sai che ti voglio bene? …”
Ma poi sempre erano presenti nei suoi discorsi altre figure milanesi come Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo.


Don Ettore, però, ha interpretato per tutta la vita il ruolo di sacerdote ubbidiente al proprio Vescovo, non solo a mons. Perini, integrandosi compiutamente e sino alla fine nella Chiesa fermana come parte della Chiesa universale.
Ne sono riprova i tanti incarichi, importanti ed impegnativi, ricoperti nel corso della sua attività a Fermo:
Segretario del Vescovo, col quale aveva intessuto un rapporto di amicizia filiale che resisteva al carattere forse un po’ burbero del superiore; insegnante di Religione nelle scuole fermane; Parroco di San Michele Arcangelo; membro del Consiglio presbiterale.
È stato inoltre Assistente ecclesiastico degli Scout, su cui amava diffondersi non solo quale importante esperienza educativa dei più piccoli (lupetti ed esploratori), ma riguardo i Rover, come tappa ultima e fondamentale di elevazione spirituale. Fu inoltre Assistente dell’UNITALSI e, fondamentale proprio per la suo orientamento alla vita contemplativa, Vicario Moniale.
Ad un diverso livello si pone poi l’impegno nella direzione spirituale di giovani seminaristi. Ma anche di laici. Analoghi il metodo, i contenuti, l’amore con cui don Ettore accoglieva, ascoltava, proponeva. Considero qui solo alcuni consigli tra quelli che veniva dispensando, pur nel rispetto dell’intimità e dell’unicità dell’altro.
La liturgia delle ore che va celebrata, non letta, ogni giorno; la lettura della S. Scrittura come Lectio divina, quindi anch’essa intesa quale preghiera e contemplazione; il sacramento della riconciliazione, a cui dava importanza forse superiore ad altri sacramenti, in quanto segno dell’amore del Padre (a questo proposito, mi regalò L’abbraccio benedicente.
Meditazione sul ritorno del figlio prodigo di Henri J.M. Nouwen); lo studio come momento di crescita anche spirituale; la recita del Rosario; l’adorazione silenziosa del Santissimo come momento di dialogo col Signore.
A proposito di quest’ultima va detto come don Ettore le dedicasse almeno un’ora al giorno, anche in inverno, quando, di pomeriggio, scendeva dalla canonica nella Collegiata di San Michele Arcangelo, e pur col freddo, riparato da una modesta mantellina nera sulle spalle, rimaneva inginocchiato per tutto il tempo. Col passare degli anni raccontava che questa pratica gli aveva provocato delle callosità sulle ginocchia di cui un medico s’era meravigliato.
Tutto questo ci fa capire perché venne chiamato per anni a ricoprire l’incarico di Vicarius Monalium. In effetti per don Ettore la responsabilità di sovrintendere agli istituti religiosi di vita contemplativa coincideva con il suo stesso essere sacerdote fortemente spinto ad una particolare spiritualità, alla quale chiamava anche i futuri preti e quanti, anche laici, si rivolgessero a lui per consigli.
Ritengo che gli aspetti pubblici e privati in don Ettore trovassero una sintesi quasi perfetta, sintesi di tipo spirituale, in quanto ciò che gli premeva era che tutti tendessero ad un rapporto speciale col Signore.
Quando offriva l’esempio del Santo Curato d’Ars, di Santa Teresa del Bambin Gesù, quando quasi commovendosi parlava di Montini e del suo testamento spirituale redatto in giovane età o delle sue preghiere a Maria, quando si soffermava sulla spiritualità dello Schuster monaco benedettino, oppure quando portava ad esempio comunità di vita monastica come quella dei Monaci dell’Assunta incoronata di Monte Corona o gli Eremiti Camaldolesi di Pascelupo, o le Monache eremite di Mocaiana, sempre agiva con l’intento di condurre chi lo ascoltava (che fosse chierico, semplice seminarista, o laico) ad un rapporto intimo col Signore.
Don Ettore amava ripetere che Egli ci ha pensati fin dalle origini, ci ha tenuti amorevolmente sulla Sua mano e che Dio è essenzialmente Amore, ci vuole bene.
Penso che negli ultimi anni della sua vita egli abbia voluto vivere sempre più intensamente questo rapporto intimo, lasciandosene prendere proprio nella preghiera e nell’adorazione silenziosa di Gesù nell’Ostia consacrata, perché in essa tendeva ad una totalità che non separa materiale da spirituale, storico da ultraterreno. •


Qualcosa del genere ha scritto Thomas Merton, secondo cui la contemplazione
«Non è qualcosa di generico e di astratto, ma qualcosa che, al contrario, è concreto, specifico ed “esistenziale” tanto quanto può esserlo. È il confronto dell’uomo con il suo Dio, del figlio con il proprio Padre. È il risveglio del Cristo dentro di noi, l’instaurazione del regno di Dio nella nostra anima, il trionfo della verità e della libertà divina nell’”io” più profondo in cui il Padre diventa una cosa con il Figlio nello Spirito che è dato ai credenti. »
(La contemplazione cristiana, Qiqajon, 2001, pp. 60-61)
Sarebbe interessante ed utile dedicarsi ad uno studio di questa figura straordinaria di prete ambrosiano in terra fermana, anche da un punto di vista storico. Un lavoro di questo tipo richiede la capacità di vedere la sua figura nella storia dell’Arcidiocesi e della Chiesa dagli anni ’50 al dopo Concilio. Purtroppo la maggior parte delle carte private di don Ettore o sono state da lui stesso distrutte, o don Ettore le ha inviate al Istituo Paolo VI di Brescia. È anche probabile che parte della documentazione sia stata consegnata dopo la morte all’Archivio Arcivescovile, ma è certo che al momento non si dispone di molto materiale attraverso cui orientarci, anche perché don Ettore, pur essendo uomo di studio profondo, non sembra aver lasciato scritti particolari, salvo le poche omelie a suo tempo edite nell’aureo volumetto Una lunga fedeltà, stampato da Grafiche Fioroni, nel 2008 a cura di un gruppo di amici.
Non è facile neppure procurarsi copia di lettere e semplici biglietti che don Ettore era solito inviare ad amici, per esempio per le festività di Natale e Pasqua.
Anche brevi ed occasionali documenti come questi possono informarci sulle qualità, gli interessi, le peculiarità di questo sacerdote tutto orientato ad una spiritualità piuttosto radicale, caratteristica prevalente secondo me nella sua vita. A questo proposito va ricordato che uno dei suoi fari era Charles de Foucauld, ispiratore dei Piccoli fratelli del Sacro Cuore. Don Ettore in un certo momento della vita mi disse che aveva deciso di trasferirsi presso una delle loro comunità, a Beni Abbes nel Sahara algerino, sconsigliato all’ultimo momento per ragioni di salute dal suo medico.
Sempre però nel corso degli anni riusciva a ritagliarsi un periodo abbastanza lungo di ritiro presso un eremo. Se ne trova testimonianza anche in alcuni dei biglietti inviati ad un amico artista, che me ne ha fatto dono.
Ma poi una piccola scoperta, per me preziosa. Il 24 Luglio 1996 don Ettore è a Pascelupo di Montecucco, in Umbria e sul Registro degli ospiti, con la sua tipica grafia minuta, precisa, timida, umile, lascia una testimonianza che mi piace trascrivere integralmente. In questo breve pensiero è forse tutto il suo modo di pensare, di vivere, di intendere la Chiesa, la sequela e l’apostolicità, la fede e la preghiera, il suo senso poetico nel parlare di teologia.
Invito a sottolineare alcune parole: scrigno prezioso; nasconde in opposizione scoprire; arrampicarsi accanto a valle; e poi Regno, prossimità di Dio, Dio amore, comprensione/ospitalità, ostensorio, lasciarsi prendere, contagiarsi per contagiare e, da ultimo, custoditi, riferito alla condizione dei tre eremiti che vivono il privilegio della prossimità col Padre.
Eccone il testo integrale:
«L’Eremo di S. Gerolamo è uno scrigno prezioso, ma più prezioso è ciò che nasconde, bisogna, però, lasciare la valle per poterlo scoprire; è un ostensorio stupendo, ma ancor più incantevole è ciò che ostende, bisogna, però, arrampicarsi sulle rupi per ammirarlo: è il «Regno» – nella parabola matteana: tesoro -perla brillante- la prossimità, cioè di un Dio, che in Gesù, svela la via alla sua Paternità e porge la vita eterna, un Dio amore che chiede di essere compreso e ospitato.
– “i tre uomini” che vivono a S. Girolamo in una consacrazione radicale, quasi sradicati dal mondo, sanno insegnare, con la loro semplice e lineare vita spogliata sì, ma serena e pacificata, come scoprire, contemplare, lasciarsi prendere dalla presenza di Dio Amore: contagiati sì, ma per contagiare, poi, di Lui, che incontreranno sul loro cammino, sulla loro via del mondo.
Grazie 24 luglio 1996
Ettore prete che ha vissuto per diciassette giorni con “i tre” custoditi dal Montecucco».
A conclusione ci si soffermi anche sulla parola ostensorio, che qui è attribuita all’Eremo tutto, come nel biglietto inviato all’amico Fausto è condizione auspicata per lo stesso artista. In fin dei conti l’augurio che don Ettore faceva a chiunque sul suo cammino: divenire Ostensorio, segno di presenza divina in ogni uomo e donna.
Don Ettore Colombo è morto nel 2007. Sacerdote in fin dei conti ambrosiano, ha voluto tornare nella sua Castellanza, dove la sua tomba è nella Cappella dei Sacerdoti-Cappella Vecchia, nell’Atrio dei locali più vecchi. •

Francesco Maria Moriconi

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