Dal passato di una terra incantata al presente di una terra devastata

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giustozziLe Marche come il luogo della “città dell’anima”, luogo di elezione, “metafora della civiltà e dell’umanità in generale” (Carlo Bo). “Quasi un grande giardino all’Italiana”, definiva Guido Piovene il paesaggio rurale marchigiano nel suo libro “Viaggio in Italia”. Raymond Ellis vedeva nel paesaggio del Fermano – Maceratese uno dei più belli al mondo. Eugenio Corti coglieva nell’ambiente naturale, dunque nel paesaggio, un qualcosa di più bello, “tanto che quasi ogni successivo colpo d’occhio veniva a costituire un bel quadro”.

Sono riflessioni databili a soli cinquant’anni fa e fatte da non marchigiani. Oggi, guardando le ferite inferte al paesaggio marchigiano, viene spontaneo chiedersi di cosa stiamo parlando, se dello stesso paesaggio o di un qualcosa d’altro, ma molto diverso. Le colline sono sempre più erose dal sole, prive di vegetazione, dilavate dalla pioggia. I contadini, numi tutelari dell’ambiente naturale non abitano più nella campagna. La terra, quando è coltivata, viene arata, seminata da operatori agricoli e da industriali terrieri che non hanno nessun rapporto con la terra. Le periferie dei paesi e delle città sono sempre più invase da colate di cemento, sottraendo in questo modo cospicue fette di territorio vocato un tempo alle culture più diverse.

Mancano gli appartamenti o quelli esistenti nei centri urbani lasciati in un totale stato di abbandono bastano ed avanzano per rispondere alla fame di case? In una congiuntura storica come quella che stiamo attraversando, chi compra poi la casa? Un’intera collina, percorrendo la strada da Civitanova Alta a Montecosaro, là dove fino a pochi anni fa c’era una grande e bella vigna, è stata sbancata per farvi posto a casette a schiera e villette. Mancano gli appartamenti, per cui si fanno queste operazioni? Porzioni consistenti del nostro territorio, basta prendere la macchina e girare un po’ per strade poco trafficate, sono lasciate in totale stato di incuria.

I campi, con il costo per ararli e seminarli, vengono lasciati a sodo. I fossi sono sempre più coperti da piante infestanti e da rovi. Non ci sono più contadini che controllano fossati, aprono canali di scolo, i famosi “aquaticci”, posti a spina di pesce nei campi. Erano loro i custodi, le sentinelle, le guardie ecologiche volontarie e nemmeno lo sapevano. Ma è stato giusto che tutto fosse finito così. Nulla suggeriva al contadino di rimanere: il medievale patto di mezzadria, solitudine e miseria. Rimane solo la constatazione che la generazione di chi da secoli, da padre in figlio, era legata alla terra, è stata l’ultima e non ce ne sarà un’altra. Ma la storia galoppa e quello che avevo scritto un po’ d’anni fa, oggi è ancora peggio. Non si coltivano più le barbabietole, non si mettono più foraggi perché mucche nelle stalle non ce ne sono, ecco allora che sono spuntati come funghi i “Parchi del fotovoltaico”.

Fino a poco tempo fa avevamo i parchi archeologici, quelli per il divertimento dedicati ai bambini con l’altalena e lo scivolo, oggi abbiamo questi nuovi parchi. Non si finisce mai di imparare. “Le Marche vivono per aria, sospese dentro un’idea di poesia quanto mai libera” – scriveva Carlo Bo (Diego Mormorio, Paesaggi delle Marche nella fotografia del Novecento, 2001). Carlo Bo si rivolterebbe nella tomba se avesse la possibilità di vedere certi scempi: una collina intera invasa dal fotovoltaico. Sì, abbiamo bisogno di energia e pulita, ma è proprio necessario deturpare una intera collina? Molti poi parlano del paesaggio come valore aggiunto al turismo e a quant’altro. Se si ha la necessità di sfruttare l’energia del sole, piazzando nelle campagne i pannelli solari, ma metteteli in luoghi non visibili, in terre marginali, lontane da occhi indiscreti. Certe brutture fanno piangere ed arrabbiare. L’operazione del fotovoltaico a chi giova? A tutti o a pochi? “La Repubblica… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9 della Costituzione Italiana). Si faccia in fretta a tutelare il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione. I buoi sono già scappati dalla stalla. •

Raimondo Giustozzi

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