MONTE SAN MARTINO – Un mistero sull’alto colle
Gli ori sono avvolgenti, le immagini in pace, i colori e le forme sono quelle di un’icona, o meglio di un’iconostasi che subito, come mossa da un interiore movimento, consente ai misteri di affacciarsi alla mente e all’anima dell’osservatore; e consente all’ascoltatore il pregio di una musica fondata non sul suono ma sul senso di ciò che viene raccontato, di ciò che il pennello del “pintore” coglie sotto forma di istantanee, ma che in realtà è animato da una triade per la quale il moto, il tempo e lo spazio si diffondono in un abbraccio di ‘eu-topia’, ‘eu-cronia’, ‘eu-tropia’: una sintesi impossibile da raccontare, ma felice da percepire e da godere. La Madonna col Bambino, il Cristo morto sorretto dagli angeli, San Nicola, San Biagio, San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista; e San Martino, San Giacomo, San Giovanni Evangelista, Santa Caterina d’Alessandria.
Quello che mi colpisce, di questo polittico che si osserva nella Chiesa di San Martino, non sono le discussioni di Berenson o di Federico Zeri sull’attribuzione del tutto e delle parti, o della considerazione di una certa stasi in quanto tracciato da Vittore e di altra vita in quanto attribuito a Carlo.
Mi colpisce, invece, una forma quasi di ‘dis-trazione’ che lega e disgiunge le immagini dei santi da quelle centrali di Cristo e di Maria. In queste si raduna, con partecipazione e distacco, l’intera vicenda terrena di Cristo, dalla nascita alla morte, come a dire: ecce Puer! ecce Homo! I santi, invece, guardano altrove, ciascuno in quella forma statuita dalla sua specifica vita di fede e poi di gloria. Qui non sono contemplanti ‘verso’ il mistero, ma rivolti al mondo, peregrinanti, narratori, ciascuno nel proprio ruolo, ‘del’ mistero, di quel felice annuncio del quale l’uomo è sempre in attesa.
Mi rendo conto che ho finito le righe “ordite” per raccontare Monte San Martino, la sua bellezza silente, la sua solitudine solare e leggermente trasognata, aerea; e allora termino con un pensiero poetico di Mario Luzi che mi rivela meglio l’immagine del polittico ospitato sulla vetta del monte: “È un angelo quello che nel sogno / mi sfila delicatamente / di dosso l’umanità / quasi d’una veste impropria / intenda liberarmi / e un’altra ne abbia in serbo / preparata per l’eternità” (da Dottrina dell’estremo principiante, Garzanti, 2004, pag. 64). •