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Panoramica di Smerillo - foto www.marcafermana.it

SMERILLO: ‘In-canti’ in dissolvenza

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“Non so capire se oggi porti il vento / alcuna voce; quello che mi resta / è quest’altezza, in verità, che sento / faticare nell’aria. Alla mia festa / piú caro quasi m’è il ginepro e il cardo / su un’isola di roccia; quanto basta / a pungermi le palpebre, se guardo / l’arena che dilaga cosí vasta / di vuoti in solitudini affollate. / Tracce che piú somigliano dipinte / a figure piú volte sfigurate, / a mura diroccate a lungo, e vinte. / Ma in questa frantumata residenza / cerco qualcosa dentro la sua assenza”.
A Smerillo, ‘balcone’ aperto simultaneamente su una pluralità di segni mediani (termini) dell’invisibile: sull’immensità del mare e sulla misteriosità della montagna, sul sorgere del sole e sul suo tramontare, sul vento e sul silenzio, sul firmamento e sull’abisso, sulla “selva oscura” e sull’empireo su ciò che è vicino e su ciò che è lontano, sulla storia e sul presente; a Smerillo, che la stella polare cerca e visita a porta Nord, e che il biancheggiare della Galassia intercetta, incrocia e incorona da Est a Ovest; a Smerillo che, con le sue arene e le sue conchiglie, è oceano arcaico e continente carico d’ere, è possibile tutto, anche cercare l’invito, pur se non c’è più alcun invito, e seguirlo, per riandare nel tempo della storia, indietro, all’origine. Anche se l’origine sfugge, e sfugge per sempre, perché, come ogni origine, è immersa nel mistero della creazione.
“Attimo di universale compresenza. / Ritorna l’acqua alla sorgente, / il grano alla sementa, / il fatto alla sua pura potenza, / rimonta la prole al primo vago / commovimento di materna voglia, / […] l’opera rientra nel disegno / e nella divinazione della mente. / Tutto vivo, / integro, dentro il suo principio, / in sé. Eppure, / eppure strema questo pensiero / una inconsolata orfanità. / Mondo che sei creato, / quindi dal tuo creatore / infinitamente separato”.
Così canta Mario Luzi, e anche per lui la separazione è il destino della creazione. Dunque? “Bellezza, lo sentiamo / che sei al mondo”. (Mario Luzi, Dottrina dell’estremo principiante, Garzanti, 2004, p. 70 e p. 80). Forse possiamo cercarla, la bellezza, in un certo giorno di sole, ancorati alla rocca del paese: “Risalgo il giorno in cerca di parole / oracolari, se sapranno ancora, / fino alla roccia prima dove il sole / di terra e silenzio è cima, a quest’ora. / Se raccolgo le tavole piú antiche / di codici di pietra in campo azzurro, / invisibili penne e ali pudiche / librano verità, ma in un sussurro. / Non invoco pietà per uno sguardo / che ora niente piú sa, se non che lento / dilegua il mondo – e muto – se m’attardo / di qui oltre il moto che eccede ogni intento. / Invoco che non sia vano quel velo / – rotolo aperto – che sorregge il cielo”.
Perché, continua Luzi rivolto sempre alla bellezza: “Qualche transitiva forma / ci illudiamo ti sorprenda. / […] Non chiuderti però, / ti prego, paga / o indifferente nel tuo nimbo, / […] profondi / in chiarità / viva la grazia – fu prodiga / con te lei, tu pure / vogliamo che lo sia. Siilo”. •

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