
Vista dell’interno del Teatro Flora di Penna San Giovanni - foto di Laura Fortunato (Archila’)
PENNA SAN GIOVANNI – La porta ancora aperta
No, mi riguarda il tessuto che Penna ci lascia, non come ricordo ma come eredità. Perché Penna San Giovanni non è un paese qualunque: è un centro che ha anche il teatro, come altri nei dintorni (penso a Montegiorgio, penso a Monterubbiano) di pari rilevanza. Ma perché questi teatri? Viene da chiedersi che cosa fosse quella gente “di prima”, perché avesse quella voglia e desiderio e obbligo di stare insieme, di ascoltare insieme, di parlare di cose grandi.
Penna qualche decennio fa era più numerosa (3400 nel 1951, 1154 nel 2011). Ma ha anche un passato più “grande”, un passato che vuole consegnarci perché lo coltiviamo fino a un possibile risveglio? Un passato che ancora palpita tra le sue chiese, le sue pievi, le sue sorgenti?
Sospinti dalla dialettica tra naufragio e salvezza, disastro e rigenerazione, non troviamo porti d’approdo.
E allora, provo ancora a sostenermi in queste meditazioni con alcune righe Mario Luzi: “Vi sembrerà strano, ma la parte più viva del pensiero attuale mi sembra la teologia, in quel gran rivolgimento che porta a motivare la storia non in pura perdita, di valore sacrificale, ma come progressiva attuazione e rivelazione”.
Forse, però, dobbiamo vedere “nella corrosione di un modello spirituale assimilato ab antiquo non tanto la fine dell’umanesimo, quanto la possibile realizzazione di un altro umanesimo non più fortificato da certezza e dignità, ma umilmente e apertamente integrato con il processo e con l’avvenimento del mondo.” (Mario Luzi, Discorso naturale, Garzanti, 2001, pagg 154-155).- •