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Don Francesco Leonardi è tornato alla casa del padre

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Ha lottato fino alla fine, don Francesco Leonardi. Giovedì 2 giugno non ce l’ha fatta. Ha combattuto la buona battaglia. Ha conseguito il premio promesso ai suoi servi fedeli. Alle ore 7,40 il suo cuore affaticato smetteva di battere. Aveva 84 anni. Più volte è stato tra la morte e la vita. Questa volta pensavamo ce la facesse. Ma non è stato così.

Ci ha lasciato in una giornata fredda e piovosa.

Lo piangono il fratello Diego e la sorella Maria e i familiari tutti.

Nel testamento ha lasciato scritto di essere cremato “non perché non credo nella Risurrezione della carne, ma perché nulla è impossibile a Dio, anche rianimare le mie ceneri come i morti da secoli e secoli”.

Poi nel suo testamento, dopo aver professato la fede “come insegna la Chiesa Cattolica di cui mi sento parte”, ha voluto riproporre le sue preghiere più ripetute durante il giorno. Alcune sono in latino, altre in spagnolo, altre in portoghese, altre in italiano.

Ad esempio: “Senor Jesus, te quiero mucho de toto corazon”, oppure, “Miserere mei, Domine, miserere mei”, oppure “Lodate con me il Signore , perché è buono, eterna è la sua misericordia”.

Ha lasciato indicazioni bel precise per ogni cosa.

Don Francesco è stato missionario in Argentina e Brasile. Ha fondato la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in Porto S. Elpidio. Quando la malattia lo ha fermato si è rifugiato nella Casa del Clero del Seminario di Fermo, dove le Suore, “Ancelle di Cristo Sacerdote” lo hanno custodito, curato e accudito come “più di un re”, ripeteva spesso don Francesco.

In effetti don Francesco è monsignore. Me lo ha fatto notare ultimamente quando abbiamo dovuto ridistribuire i numeri telefonici.

Allora mons. Francesco Leonardi è nato il 26 settembre1932 a Carassai da mamma Cesira Savini e da babbo Filippo. A 11 anni entrò in seminario, a Fermo. I suoi genitori non si potevano permettere di far studiare più di un figlio. Fu Francesco a studiare. Maria, sua sorella, di quattro anni maggiore, doveva rimanere in casa. “Lei – ha scritto don Francesco in un numero speciale de La Voce delle Marche – fu sacrificata nonostante avesse intelligenza vivace, capacità e la raccomandazione della sua maestra”. Le è stato sempre grato.

Voleva diventare sacerdote. Lo aveva da sempre desiderato. Anni dopo comprese che stava rispondendo a una chiamata del Cielo. Dio stesso lo chiamò a lavorare “nella sua vigna” che è la chiesa. Per mantenerlo in seminario, i suoi genitori, oltre a pagare il mensile, la “retta”, erano invitati anche a portare cibarie varie. Il vitto in seminario non mancava ma c’era poco da scegliere. Si era in tempo di guerra. Cominciava a mancare quasi tutto: dalla stoffa, alle scarpe, dalla legna da ardere per scaldarsi ai quaderni. Tutto veniva riciclato. In Seminario si mangiava per la prima colazione un po’ di pane nero in una tazza di brodo caldo di verdure cotte la sera prima. A pranzo non mancava mai la minestra (la pasta asciutta era un sogno festivo!). A cena solo erbe cotte, la cui acqua verdognola veniva servita il mattino seguente.

Lentamente le cose migliorarono.

Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1956.

Dopo il corso di preparazione, presso il CEIAL (oggi CUM, Centro Unitario Missionario) a Verona, il 7 dicembre 1965, si imbarcò a Genova e fece scalo a Buenos Aires. Poi con un viaggio in treno pieno di polvere arrivò ad Anatuya, sede vescovile, ospite del Vescovo Mons. Jorge Gottau. Era il Capodanno del 1966. Mons. Jorge Gottau, Vescovo della nuova diocesi di Anatuya, in provincia di Santiago del Estero, al centro nord, nel Chaco santiaghegno gli affidò la Parrocchia di Santa Rosa nella cittadina di nome Quimilì.

Era andato per cinque anni, ce ne restò per sette. Poi il Vescovo, Mons. Cleto Bellucci lo richiamò in diocesi a Fermo e lo nominò amministratore della comunità del Sacro Cuore nella Faleriense di Porto Sant’Elpidio, dove è restato per più di venti anni, sognando sempre di tornare in Argentina.

Nel 2003 è ripartito per il sud America. Questa volta però alla volta del Brasile, nella parrocchia Sao Josè, Diocesi di Guarulhos, nella periferia della periferia della città di San Paolo dove svolgevano il servizio pastorale altri due sacerdoti della diocesi di Fermo: don Mauro Antolini e don Ubaldo Ripa.

La salute lo ha costretto a tornare in Italia dove lo ha colto anche una terribile piastrinopatia che ha portato don Francesco sull’orlo della morte. Lo ha costretto infatti, in ospedale civile, a Fermo, dal 22 settembre al 26 novembre 2011. Le piastrine non volevano risalire. Poi, con la consulenza dell’ospedale Lancisi di Ancona, tutto è migliorato. Anche se lentamente.

È stata una vita intensa.

È allo Spirito Santo che più volte al giorno si rivolgeva ripetendo “Veni, Sancte Spiritus et emitte coelitus lucis tuae radium”. Diceva: “Mi rafforza in ogni momento e mi rende pronto anche al martirio”. Ripeteva anche la preghiera di S. Ignazio: “Anima Christi, santifica me” aggiungendo alla Madre di Gesù “Ave maris stella”.

Don Francesco, il monsignore delle missioni, che ha sempre desiderato tornare in America Latina, ora è diventato Signore accanto al Suo Signore che ha abbracciato durante tutta la sua vita.

Leggi il suo diario nello speciale pubblicato per il suo giubileo missionario.

About Tamara C.

Direttore de La Voce delle Marche

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