Dopo un periodo di impegno nella scuola, si dedica a tempo pieno alla pittura.
Partecipa a numerose collettive in Italia e Francia, da ultimo all’esposizione torinese della Biennale di Venezia a cura di Vittorio Sgarbi.
Presenta i suoi cicli di dipinti ad olio e acquerelli in mostre personali a Bologna e nelle Marche.
Da diverso tempo le sue opere su carta, acquerelli e pastelli, compaiono nel prestigioso catalogo Prandi insieme a quelle di Arnoldo Ciarrocchi.
Variegate sono le sue maniere di rileggere il genere del paesaggio tramite tecniche e gesti pittorici multipli che vanno dalla stesura liquida e trasparente dell’acquerello, che quasi sfiora l’informale, al tratteggio incrociato dei pastelli più realistici, alla visione drammatica ottenuta con impasti cromatici su preparazioni oscure: così tragicamente, tra solitudini e attese, tratta l’umano e il divino.
Di lui Vladimiro Zocca, critico d’arte e ricercatore di estetica scrive: La rapidità di sintesi dell’acquerello permette a Sandro Mori una capacità di figurazione pittorica intesa non solo come fatto tecnico, consolidato nel tempo da una profonda esperienza figurativa, ma anche come atto d’amore della percezione e della sensibilità nei confronti delle cose create dalla natura e delle cose fatte dall’uomo che hanno abitato e abitano la vita quotidiana dell’artista. E’ sera tardi quando ci riceve nella sua bella casa arredata da moltissimi quadri, dipinti in anni diversi, capitoli di una storia artistica ed umana affascinante. Con lui ci viene incontro Maria, la sua sposa, artista anche lei. Le sue sculture e dipinti sono in ogni angolo. C’è una bella luce, l’atmosfera è calda, poco distante il mare come per le case d’Irlanda che profumano d’aria salata quando c’è tempesta. Conosco Sandro Mori dagli anni novanta, ai tempi in cui con tutta la famiglia recitavamo insieme in una famosa compagnia teatrale di Pedaso. E’ rimasto tale e quale allora, col quel sorriso dolce e timido che lo caratterizza.
Per prima cosa mi mostra il suo splendido studio e sul cavalletto l’ultima sua opera, una crocifissione ad olio. Più che un quadro è una stupenda narrazione in cui colore, figure e simbolismi dialogano fra loro. Il Cristo è al centro apparentemente vinto, il capo reclinato su un’umanità che parla col linguaggio dell’arte: il musicista, il gioco di un clown, il cavallo bianco, segni di una gioia che rinasce. La Morte non ha l’ultima parola e i “semplici” diventano umili profeti della vita che è dono. Sullo sfondo il mondo di una civiltà cadente, in cui le forme geometriche delle case e le gradazioni dei blu, dei grigi e del bianco di due lune che viaggiano nel cielo fra il vecchio mondo e il nuovo, lasciano ancora spazio a più ricche reinterpretazioni. Scopro attraverso le parole e i racconti di Sandro Mori, la storia intima e quasi segreta di ogni sua opera pittorica. Ed ecco il quadro col ritratto dell’amico ed artista Fausto Luzi, dipinto con le dita in un momento particolarmente doloroso in cui Sandro fa esperienza della morte del padre. La vicinanza e l’affetto dell’amico sono rilette alla luce di una gratitudine che sulla tela si fa dolce carezza. I racconti iniziano da lontano e si susseguono, dal nonno Enrico che amava disegnare e che dovette partire giovanissimo in cerca di fortuna nelle lontane Americhe.
Dalla nonna Maddalena rimasta in Italia ad amministrare con sapienza ed amore il denaro del giovane sposo lontano, fino a fargli trovare al suo ritorno una casa pronta sulla parte più bella e panoramica di Petritoli. Un amore profondo e forte quello dei nonni con i quali ha potuto trascorrere, lui bambino, gli anni terribili della guerra. “Disegnavo sui muri di casa del nonno, fin da piccolo e col carboncino. Mio nonno in me ha visto ciò che lui avrebbe tanto desiderato diventare. Nessun rimprovero quindi, solo il paziente ridipingere di bianco le pareti dov’ero passato. E quando da ragazzo me ne andavo con cavalletto e colori, per colline e campagne, a cogliere la bellezza dei paesaggi da mettere su tela, lui era con me, felice e fiero”. Riguardo allora i quadri in bella mostra per ritrovarvi i tratti salienti della narrazione di questo pittore non solo poeta del colore ma sapiente filosofo che sa coniugare il passato col presente senza sconti o romantiche visioni, in cui il tempo di ieri sembrerebbe rappresentare un mondo ideale ormai trascorso. I soggetti hanno volti assorti, pensanti, schivi, talvolta appena tratteggiati, ma non statici. Le mani del fisarmonicista infatti sembrano prendere velocità sui tasti bianchi e neri e il grano maturo ha il colore del miele e il profumo del vento. Mentre il tempo trascorre senza che ce ne accorgiamo, prima di andarcene ci salutano i versi a lui dedicati, del poeta e Professore Gilberto Carboni:
Sandro, prima di conoscerlo, lo conoscevo già.
Avevo visto un suo dipinto a casa di Fausto Luzi.
Tanto tempo fa.
E Fausto me ne aveva narrato la storia.
Era un ritratto realizzato spalmando i colori ad olio
Direttamente con le dita nude sopra una tela.
Erano appena rientrati dopo un giro
col vecchio maggiolino pieno di quadri.
Da vendere con urgenza.
C’era da comprare una bara. Da pagare un funerale.
Il babbo lungo sul letto di una stanza vicina.
Tempi di povertà. Di sentimenti forti e veri.
Questa era l’amicizia un tempo. E così
dovrebbe essere ancora.
Ci piace ricordarlo ai giovani
che a vent’anni si fanno chiamare “maestri”.
E magari passano il tempo a guardare il niente
che corre, veloce come l’estate,
sul tetto aperto dell’ultima spider.
A Sandro mi unisce la comune certezza che la poesia,
la pittura, l’arte non debbono appagare, coprire
come un balsamo le piaghe del mondo.
L’arte deve ferire, deve far male.
Seminare inquietudine e dubbi. Perché
guai a noi se smettiamo di credere
che un’umanità migliore è ancora possibile. •