Dicono che la città sarà il più grande cantiere dell’alto Nera, ma già oggi, 30 gennaio, fanno più di cinque mesi dalla notte terribile del terremoto del 24 agosto e tre mesi dalle scosse ancora più terribili del 26 e 30 ottobre. Visso è lì, come in attesa, massacrata dal sisma, che aspetta l’inizio dei lavori per essere rimessa in piedi, ripopolata, vissuta: una presenza ossessiva alla quale, in qualche modo, sarà data presto una risposta. Intanto gli allevatori sono ancora senza stalle e dopo la neve cominciano a morire gli animali. Delle strutture mobili richieste nell’alto Nera dopo il terremoto del 24 agosto non ne è stata montata neppure una, mentre in tutta la regione Marche risultano assemblate appena il 12% di quelle previste.
La Coldiretti parla di ritardi inaccettabili, mentre l’assessore regionale Anna Casini cerca di spargere tranquillità dicendo che “gli allevatori saranno risarciti per gli animali morti a causa della neve” e, siccome in questo paese la colpa è sempre di qualcun altro, scarica la responsabilità sulla stessa Coldiretti: “Il nostro errore è stato fidarci della Coldiretti che doveva supportare gli allevatori che potevano farsi la stalla da soli sin dal 5 dicembre. Abbiamo sbagliato e ci scusiamo con gli allevatori”.
La risposta dell’associazione non si è fatta attendere: “Affermazioni deliranti con le quali la vicepresidente cerca di scaricare responsabilità evidenti che sono affiorate anche nell’incontro con il ministro Martina”.
Insomma prendersela con gli altri non serve e porta con sé una fuga dall’incontro diretto a favore di quello che non si vuole ammettere: nessuno può farsi la stalla da solo perché a tutt’oggi manca una determina regionale che fissi regole e direttive per l’erezione di una qualsiasi struttura mobile. A questo punto gli allevatori, allo stremo delle forze, pretendono almeno di sapere dalla Regione come si devono comportare e cosa devono fare a tutela delle loro aziende.
Ancora una volta gli esponenti del governo regionale evitano di confrontarsi con la montagna e la sua gente, di incontrarla, conoscerla, ascoltarla. L’incontro è alla base dell’identità di un territorio. E da lì bisogna partire per una presa d’atto dei problemi e avviare una riflessione seria sulle cose da fare di fronte alla situazione difficile e complessa che si è creata a partire dal terremoto. Una presa d’atto operativa, una tensione emotiva e solidale per mantenere vivo il legame con le identità locali, frammentate dalla deflagrazione spaziale e relazionale innescata dal terremoto. Ecco allora le immagini del bestiame fornite da Costantino Paris sulle nevi di Vallestretta che è come un muoversi con occhi e cuore dalle macerie; ecco le testimonianze raccolte dalla viva voce di Leonardo Benedetti, la stalla distrutta e cinque mucche esposte al freddo e alla neve, che sono tutto il suo avere; poi le voci più difficili da controllare; e infine le sequenze dei video di Marco Sebastiani dove l’immagine della stalla puntellata sotto il peso della neve è già più forte. Qualcuno adopera la parola phubbing, un nuovo termine che significa ignorare chi è in difficoltà perché si è assorbiti dallo schermo che fotografa soltanto la torta dei voti più appetibile. Si capisce allora la sfiducia crescente nella politica regionale e l’indifferenza delle nuove generazioni.
L’unica speranza è che fra i giovani riprenda la voglia di utopia. Se la politica pensa a malapena all’oggi, loro devono pensare al domani e al dopodomani, immaginando l’impossibile. Per esempio la zona franca di cui parla l’università di Camerino, la modifica delle leggi che impediscono ai giovani di impiantare aziende agricole e beneficiare dei fondi europei, la riduzione degli orari di lavoro, l’investimento di miliardi per la sistemazione idrogeologica dei suoli, un’imponente politica di promozione turistica della montagna. Si tratta di utopie, in questo clima politico e in particolare in una regione statica, prigioniera degli interessi elettorali che spingono a spendere risorse dove la torta dei voti è più allettante. Ma senza le utopie di Nicola Rinaldi l’alto Nera non avrebbe avuto gli impianti di risalita, il palazzo del ghiaccio, le centrali idroelettriche. Non sarebbe mai uscito dalle strade sterrate e senza utopia rischia presto di tornarvi. •
Valerio Franconi