Tanti proclami ma niente di fatto

Stampa l articolo

Costantino: neppure la neve e il terremoto cancellano la voglia di restare

Vuoi dire il tuo nome? Costantino Paris. Che lavoro fai? L’allevatore. Da quanto tempo? Da circa cinquant’anni. Dove si trova la tua famiglia? Attualmente io sto a Porto Sant’Elpidio con mia moglie Maria Rita, mia figlia Marianna, il mio nipotino Giovanni. Invece mio figlio Giovanni si trova a Vallestretta di Ussita con mio genero Massimo Caputo per badare al bestiame. Quanto bestiame avete? Abbiamo 120 vacche di pura razza marchigiana regolarmente iscritte (vacche e vitelli), 30 pecore, 20 capre, 2 asini e un cavallo. Avete un ricovero per il bestiame? Nessun ricovero. Come mai? La stalla in muratura è crollata con il terremoto. Non avete chiesto ricoveri mobili? Sì, ne abbiamo chiesti 6 dopo il terremoto di agosto e ne sono stati consegnati 2 quindici giorni fa, ma giacciono a terra perché non sono stati mai montati. Avete per voi un container dove rifugiarvi? Ne abbiamo uno composto di una stanza e un bagno, per una sola persona: ci vivono in due. Chi ve l’ha fornito? Un’associazione. Avete foraggio sufficiente? Quello che abbiamo non basta per lo sverno e al momento non possiamo procurarcene altro a causa dell’impraticabilità delle strade. Il bestiame è a rischio? Certamente sì, per le condizioni climatiche e perché si avvicina il periodo dei parti. Cosa chiedete alle istituzioni? Per come hanno risposto non chiediamo più niente. Sei scoraggiato? Più che altro deluso perché siamo stati lasciati soli, in condizioni al limite dell’accettabile. Sei tentato di smettere e di andar via? No, finché non ci costringeranno definitivamente ad abbandonare.

La storia di Costantino Paris comincia così. Il suo bestiame si trova sotto la neve, nessun riparo, niente luci accese, nessuno sbuffo di fumo dai comignoli caduti. A Vallestretta di Ussita sono rimasti solo i lupi e i cinghiali. Mettete insieme neve e terremoto, una buona dose di risentimento, un ghigno da uomo disincantato, l’attitudine radicata verso il sacrificio e avrete una buona approssimazione di quella scintilla che diventa una straordinaria forza di reazione agli eventi avversi. Inutile illudersi, inutile tirarla avanti con speranze, illusioni, vane attese.
C’è qualcosa di assurdo in questo ritmo del dopo sisma che brancola nei proclami, nella burocrazia, nei mancati piani di intervento. La Regione non fa sentire la sua vicinanza, è vero, ma gli uffici volano alto? Dove sono i piani di intervento in caso di calamità naturali (dove concentrare la popolazione, dove collocare le casette e le stalle mobili…), di cui si parla da anni? Quanti enti pubblici possono dire di aver ricevuto indicazioni e supporti in tal senso? Quante regioni possono affermare di averli almeno preventivati?
I sindaci, a cui le leggi attribuiscono la responsabilità delle decisioni, non permettono collocazioni a caso: lì c’è un fosso, là c’è pericolo di slavine, qui passa la linea della corrente elettrica. A questo punto gli operatori della Regione depositano le strutture smontate per terra e se ne vanno, sollevando una bufera di comprensibili proteste. Lui, Costantino Paris, è uno dei pochi che non fa commenti sui social. È come se non avesse nulla da aggiungere allo spettacolo del bestiame bagnato e tremante sotto la neve. Quando cominceranno i parti la sorte dei nuovi nati sarà già segnata. Le madri non riusciranno certo ad asciugarli leccandoli o a riscaldarli con il loro calore. Né Giovanni e Massimo potranno far molto dalla porta del loro container. E bisogna risalire al sisma del 24 agosto, che ha distrutto case e stalle, per capire in modo globale come tutto abbia avuto origine: giovani che hanno perso il lavoro, operatori turistici senza locali, allevatori senza stalle, cittadini senza casa. E una domanda: restare o andar via?
Ancora una volta il terremoto ha scoperchiato sotto i nostri occhi l’umile Italia di sempre: sofferenza, lavoro e coraggio. Il coraggio della pazienza, della laboriosità, dell’attaccamento al proprio paese. E parole, quelle di Costantino Paris, che non fanno insieme discorso, ma che sono, ciascuna, un discorso. Parole che non cedono mai il passo di fronte alla capacità di sopportazione, così che noi abbiamo modo di riconoscercisi, sorpresi e ammirati. In quelle parole prende forma un racconto che cerca di cogliere il senso della presenza umana a Vallestretta di Giovanni e Massimo, che vivono in un container, venti metri quadrati in tutto, in mezzo alla neve, e resistono. Sono rimasti a guardia di un gregge e di un mondo che non vogliono far scomparire. Andrebbero coccolati e invece hanno ricevuto solo un piccolo container da un’associazione che vuol rimanere anonima. Chi dà loro tanta tenacia per resistere? Hanno chiesto sei ricoveri mobili. Sono passati più di quattro mesi e ne hanno ricevuti solo due che giacciono smontati sotto la neve. Diteglielo al presidente della Regione che, nel freddo di questa gran nevicata, se ne sta al calduccio nel suo ufficio da cui emana proclami e rivolge appelli ai sindaci, diteglielo di questo strano mondo disegnato dal sisma.
Il tempo per lui è evidentemente un altro tempo, un tempo con la maiuscola che lo fa muovere esclusivamente quando vengono in visita alte personalità dello Stato. Ma dalla Regione chi è venuto fisicamente tra i terremotati? Nessuno. Le soluzioni ai problemi i sindaci, gli uffici tecnici e i cittadini amministrati le hanno trovate da soli. Il tempo dei terremotati non conta i minuti, ma i paesaggi e gli uomini. Figure dal presente dove lo sguardo si perde nelle rovine e nella nevicata infinita. È un’efficacia chirurgica di persone che non sono ancora stanche di istituzioni inadempienti e di monti avari in cui il benessere è qualcosa di troppo diverso da quello che vivono i politici. E quel benessere, se così si può chiamare, tiene ancora gli allevatori come Giovanni Paris e Massimo Caputo a lottare in una situazione surreale, in un piccolo container, aspettando che le istituzioni si ricordino di loro.
In attesa che arrivino finalmente le strutture mobili, a Vallestretta gli allevatori hanno iniziato per proprio conto a sgombrare la neve e a preparare le piazzole. Tutto ora appare nitidissimo: i paesi deserti, la neve, il bestiame, i volti dei mandriani con i loro cani. Il mondo del terremoto sembra quasi essere diventato la normalità, come fosse sempre esistito. Eppure al fondo di tutto si è ancora capaci di affrontare la chiamata del destino, il punto di svolta che ti fa consapevole dei percorsi da compiere e dei desideri maturati e, oltre tutto, profila l’ulteriore chiamata di un futuro. Il container di Giovanni Paris e Massimo Caputo appare adesso meno lontano, più percettibile. La sua presenza ci fa sentire le età dell’uomo, il coraggio dell’esserci, la sua fatica e il suo eterno e uguale tornare. La mia speranza è che sotto l’affresco di questa umanità tribolata ci sia ancora una sinopia che, ripulendo le coscienze dei burocrati dalla polvere dell’indifferenza, riscopra ancora la gioia e la bellezza di un mosaico da ricomporre per domani. Se non è questa la speranza che abbraccia la vita, dite voi cos’altro è. •

Valerio Franconi, collaboratore de La Voce Camerte, ospitato da “La Risacca” di Porto Sant’Elpidio a seguito del terremoto dell’Ottobre 2016

Rispondi