Animali con l’anima
Al di là di alcune esagerazioni che si possono verificare, questa ventata di attenzione per gli animali in atto nella nostra società non è rubricabile semplicemente come follia, ma è l’effetto di alcuni fenomeni su cui vale la pena riflettere. Sta mutando, in primo luogo, il modo di concepire l’animale. Non viene più considerato come macchina semovente governata da meccanismi automatici, ma come vita senziente che, anche se “povera di mondo”, ha un proprio universo cognitivo, emotivo, affettivo. Se è questo, l’animale non è classificabile come un bruto governato da istinti elementari.
È un essere vivente che ha un proprio mondo rappresentativo, un proprio modo di stare al mondo che si trasforma in parallelo con i modi di abitare il mondo prodotti dagli umani attraverso il controllo della Biosfera e la progressiva espansione della Noosfera. Fanno titolo a questo proposito gli studi che lo zoologo Giorgio Celli ha dedicato alle mutazioni dei comportamenti dei gatti in ambiente urbanizzato.
Gli uomini, infatti, nel complesso rapporto con la natura avuto negli ultimi 150 mila anni, dopo le epoche dello strapotere della Biosfera, sono giunti al suo sostanziale asservimento. Le vittime principali di questo capovolgimento sono gli animali, in particolare i maiali, le pecore, le mucche, i polli, i conigli, i pesci, etc. che sono diventati carne da macello, oppure sono ridotti a oggetti di osservare con pietosa curiosità in spazi strutturati e gestiti dagli uomini. In questa espansione di attenzioni per gli animali vive, forse, un senso di colpa, che, se meglio elaborato e pensato, potrebbe condurre a cambiare molte abitudini mentali e alimentari.
Si sta comprendendo, infatti, che gli uomini non sono unicamente macchine pensanti radicalmente difformi dalla vita animale. Nel considerare se stessi occorre dunque passare, come fa notare il filosofo francese Jaques Derrida, dal “Penso dunque sono” di cartesiana memoria, al più corretto e adeguato “L’animale che dunque sono”. Un’operazione non indolore, che richiederebbe, come indica anche Papa Francesco nell’enciclica Laudato sii, un mutamento profondo nei modi di concepire il rapporto uomo-natura.
Accanto a questo aspetto, nella ventata di interesse per alcuni animali, in particolare cani e gatti, c’è un altro elemento da evidenziare, il fatto cioè che cani e gatti divengono molto spesso una sorta di bene-rifugio a livello affettivo e relazionale.
Capita infatti, che nel momento in cui i rapporti tra persone divengono sempre più complicati, e paura e diffidenza si affermano come i sentimenti più diffusi nelle relazioni sociali, l’animale diventa un interlocutore privilegiato, perché soggetto di una relazione simmetrica e in gran parte prevedibile.
Se viene trattato bene tratta bene anche lui, e mostra tutto il proprio affetto verso il “padrone”. Al contrario di quanto avviene tra persone, se trattati in modo appropriato difficilmente cani e gatti sono ingrati o aggressivi.
Contro le incognite contenute nei rapporti con vicini, amici, mogli, mariti, colleghi di lavoro, ci si vaccina quindi con la geometrica prevedibilità dei rapporti con il cane e il gatto. C’è da augurarsi, però, che il bene-rifugio del rapporto amicale con il cane o il gatto non porti poi, per timore di delusioni o di reazioni imprevedibili, a divenire misantropi che colloquiano più volentieri con il gatto di casa che con il proprio vicino o il proprio consorte. •