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Questa Italia che ha paura di morire

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Montecosaro: un invito alla preghiera.

Il coronavirus spaventa, ma non solo perché porta dolore e morte, ma forse ancor più perché provoca incertezza, fa vacillare e schiantare a terra tutti i punti saldi della nostra esistenza, tutte le sicurezze, materiali e affettive.
Italiani, popolo di poeti, santi e viaggiatori, costretti alla quarantena delle loro libertà, delle loro abitudini, dei loro spazi. Poeti, cantanti e attori che si affacciano ai balconi per i flash mob canori o musicali. Tutta Italia da nord a sud. Fino a quando arriva una foto scattata di notte a Bergamo, con la colonna militare della morte, che ci teletrasporta alla cruda realtà. Allora il flash mob esorcizza la paura della morte, ci fa sentire uniti, ci dà la forza per andare avanti ma ci fa dimenticare la carità cristiana che ci impone di PREGARE invece per tutti quelli soffrono e muoiono lucidi e soli, per tutti quelli che, impotenti, stanno loro accanto, per quelli che restano a casa disperati.
È possibile pregare anche con le chiese chiuse, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, che da tanto tempo hanno dimenticato come si fa. La messa in streaming va di moda, perché stai comodamente a casa e pensi “ma perché non la fanno sempre così?”. Fa figo, la prima volta, poi chissà. Allora gli italiani, popolo di santi, come si sono ridotti?
Questo tempo di reclusione ci deve far riflettere molto su cosa significa essere cristiani oggi, su cosa possiamo fare noi isolati a casa. Non si dice che la preghiera è l’arma più forte? Forse oggi questo non vale più, nell’era di internet e dei flash mob?
Gli italiani viaggiatori che imprudentemente hanno accelerato la diffusione del virus, dove li vogliamo mettere? Nonostante tutti gli avvisi e le raccomandazioni, è troppo forte la spinta ad uscire, con la scusa più improbabile, pur di uscire: passeggiare col cane più del necessario, tutte le volte che ci va, andare a fare la spesa, anche più volte nello stesso giorno, impenitenti…senza pensare che invece c’è qualcuno che DEVE uscire per andare a lavorare, per garantire i servizi necessari alla popolazione e che invece vorrebbe tanto tanto stare a casa. Perché non preghiamo anche per loro?
Per chi sta a casa, è difficile pensare a chi invece a casa non ci può stare, al sicuro, protetti. Poi c’è chi pur restando a casa è tanto smart da poter lavorare con il pc e il telefono. Il telefono? Intasato da decine di messaggi inutili ricevuti da gente che neanche si conosce e si ricorda adesso di averti in rubrica e… da video di flash mob… Allora tu lavoratore smart, preoccupato di perdere il lavoro, che cerchi di dimostrare che anche nella precarietà riesci a fare il tuo dovere, all’arrivo di quei messaggi inutili, ti chiedi, ma perchè insistono, non hanno altro da fare? È gente che ha studiato, sono amici di comprovata serietà, sono bravi cristiani, hanno famiglia e vanno sempre alla messa… E continuano… E ancora? Adesso basta! Ma poi penso che sono solo dei fratelli e delle sorelle impauriti, anzi terrorizzati. E prego per loro. •

Katia Marcucci

Parrocchia San Lorenzo Martire, membro del Consiglio Pastorale

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