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Il potere generativo delle relazioni nel tempo della pandemia

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L’esperienza dell’Associazione Rondine Cittadella della Pace.

La globalizzazione ha visto esplodere le proprie grandi ambivalenze durante la pandemia Covid-19: da una parte tutti siamo colpiti dal virus, indistintamente; dall’altra ci sono sempre più differenze riguardo alle capacità delle persone di affrontare questa esperienza comune. Il grande investimento degli ultimi decenni sul potenziamento di capacità e competenze ha blindato le relazioni, ridotte spesso a mezzo per la propria affermazione, dentro la retorica del “farsi da soli”. La pandemia ha invece riportato alla luce un bisogno relazionale nuovo, che fatica però a essere valorizzato, schiacciato dentro una spirale di chiusure alimentata da egoismo, paura, rabbia, rassegnazione e amplificazione dei conflitti. Ancora non è chiaro se tra gli effetti collaterali della pandemia ci sarà il rafforzamento delle comunità di carattere difensivo o del senso della cura e della prossimità come elemento di nuova socialità.
Ci sono aspetti di questa pandemia che impongono di riconsegnare spazio ai tempi lunghi delle relazioni e persino della trasformazione dei conflitti che stridono con i tempi accelerati di costante cambiamento e performance imposti dalle nostre quotidianità disgregative. Sebbene ormai da decenni la solidità dei corpi sociali e delle comunità abbia lasciato il posto a relazioni precarie e spesso superficiali è anche vero che in situazioni estreme e inedite c’è un potere generativo che tende a riorganizzarsi spontaneamente a livello privato ma anche con volontà di impatto pubblico (a livello di società civile).
L’Associazione Rondine Cittadella della Pace da oltre venti anni lavora su quelli che potremmo definire “habitat relazionali”, all’interno dei quali giovani provenienti da paesi in conflitto attuale o recente si incontrano e avviano un processo lento, delicato, faticoso di decostruzione del nemico: sono giovani che sanno rileggere complessità e conflittualità a partire dal potere generativo delle relazioni, smontando l’assimilazione tra “nemico” e “altro”. Rondine, in virtù della sua esperienza nella costruzione di un approccio relazionale alla trasformazione dei conflitti, può contribuire a definire alcuni “contenuti” chiave da ancorare ad azioni concrete per permettere alla nostra società di rinascere da questa crisi.
Occorre evitare innanzitutto la metafora bellica, declinata tra vincitori e vinti.
I gesti, da quelli professionali di chi opera nel sanitario a quelli informali della famiglia, anche quando non riescono a salvare, continuano a curare, hanno il valore preziosissimo dell’accompagnamento. Non siamo in guerra, ma, se usiamo la metafora di Papa Francesco, siamo nella tempesta. Quando si calmerà dovremo essere in grado di ricostruire senza le macerie di intere città bombardate, ma con altre “macerie”, psicologiche, relazionali. Serve poi dis-mettere un’idea di crescita sempre più implausibile: sarà fondamentale lavorare sulla povertà e sulle diseguaglianze e in quest’ottica occorrerà lavorare sui confllitti, perché non siano davvero distruttivi, non impediscano di affidarsi gli uni agli altri, possano essere accolti e abitati (e non subìti).
Ci sarà poi bisogno di mettere a tema la questione della resilienza, lavorando di più sulla nostra capacità di prepararci agli shock a cui possiamo essere esposti: investimenti nella sanità piuttosto che nell’istruzione piuttosto che nella rete. Occorre allora rimettere al centro il bisogno relazionale, con un’attenzione speciale a un nuovo patto intergenerazionale. Per fare ciò serve investire in una nuova cultura del conflitto: fuori dalla sua degenerazione bellica, e oltre la questione degli armamenti, è necessario un investimento nuovo sulla formazione rispetto al conflitto, che implica un cambiamento nelle mappe cognitive che permettano ad ognuno di leggere quello che succede. E per consentire ciò urge una nuova leadership globale di pace: il passaggio dal dolore (che evolve nella cristallizzazione e nell’odio di un nemico) alla fiducia (che scopre la persona nel nemico) sedimenta una fondamentale attitudine umana di base che dà alla persona la consapevolezza della propria unicità e riconosce la capacità di ognuno di costruire relazioni generative.
Dedicarsi alle relazioni sarà la grande sfida che ci aspetta. E Rondine è pronta a dare il suo contributo. •

Spinella Dell’Avanzato è dottore di ricerca in sociologia. Attualmente è ricercatrice per l’Ufficio Studi dell’Associazione Rondine Cittadella della Pace. In ambito professionale ha svolto attività di progettazione e ricerca, di coordinamento scientifico e organizzativo, di formazione e docenza.

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