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Frammenti di fedeltà

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Dieci anni fa scompariva mons. Ettore Colombo

Sono già trascorsi dieci anni dalla morte di Mons. Ettore Colombo (1920-2007), venuto nella diocesi di Fermo al seguito dell’Arcivescovo Mons. Norberto Perini.
È stata una figura di spicco nella diocesi fermana anche quando, per raggiunti limiti di età, non ha più avuto impegni parrocchiali. È stato Vicario episcopale per la vita consacrata, Padre spirituale di molti seminaristi, confessore di molti sacerdoti, assistente diocesano dell’Unitalsi e dell’Agesci, innamorato della “sua” chiesa, quella di S. Michele che custodiva “come la pupilla deii suoi occhi”.
Sapeva trasmettere Dio. Era impastato di spiritualità. Ogni anno, anche durante il suo ministero pastorale, aveva l’esigenza di fermarsi per 30 giorni. Chiedeva a qualche confratello di essere sostituito negli impegni pastorali per rifugiarsi in un luogo deserto dove incontrare il “suo” Dio.
Preferiva i luoghi più isolati. Negli ultimi anni preferiva ritirarsi nell’eremo di Pascelupo, una frazione del comune di Scheggia, in provincia di Perugia. Doveva ascoltare quel “soffio leggero” che ha fatto innamorare Elia.
Dal suo eremo, poi, scriveva a tutti i suoi amici donando qualche riflessione, qualche frase, qualche spunto di riflessione.Bastava poco per percepirne la profondità umana e spirituale. Fu lui, a chiedermi di diventare assistente diocesano dell’Unitalsi. Per i primi anni mi seguì passo passo nelle varie riunioni, assemblee pellegrinaggi. Fu lui a educarmi al passo degli ultimi accompagnandomi e sostenendomi negli incontri mensili che si facevano, per il gruppo di Fermo, in casa sua. Frequentavo spesso la sua casa anche perchè era la sede diocesana dell’Unitalsi. Anche lui mi chiamava spesso. Ha conosciuto la mia famiglia che stimava molto. Spesso è venuto a casa mia, a Smerillo e, in parrocchia, a Fermo. Anche i miei genitori furono incantati dalla personalità di don Ettore: semplice, profonda, spirituale, umana.
Aveva una parola ed un aiuto per chiunque. Prendeva a cuore le situazioni di tutti.
Quando si andava a trovarlo, in via Bertacchini, dopo aver suonato il campanello, don Ettore si affacciava alla finestra del suo studio. Poi scendeva ad aprire. Già quel gesto di scendere, era un “Benvenuto”. Dopo aver chiuso la porta alle spalle durante la salita delle scale, don Ettore si interessava alla salute, alla famiglia, alla vita pastorale.
Dopo esseresi accomodato nella sua sedia, liberava il tavolo pieno di libri e, con i suoi occhi, diceva: “Adesso il mio cuore è pronto per ascoltarti”.
Aveva quel dono divino di percepire l’animo umano. Non aveva pregiudizi con nessuna persona.
Spesso mi raccontava di alcuni che lo avevano derubato, lo avevano deriso, avevano rigato la “sua bigoncia” (la sua auto). Ma lui non ne teneva conto. Volava in alto. La leggerezza della fede, il soffio dello Spirito gli donavano la sapienza del perdono.
Prima di andar via, ripeteva spesso: “Ricordati che Lui ti ama”.  •

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Direttore de La Voce delle Marche

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