Parole forti, dunque, anzi esigenti: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me”; così chi ama di più il proprio figlio o non prende con sé la propria croce. Non leggiamo queste parole come un assoluto, pretesa davvero inaudita, ma cerchiamo di comprenderne la verità profonda, cui esse invitano. Non si tratta cioè di non amare padre, madre – come la mettiamo con il quarto comandamento? – o di non amare i figli. Gesù non esige un amore totalitario per la sua persona, ma chiede quel “morso del più”, direbbe don Ciotti, richiama l’amore che deve essere dato al Signore, e chiede, semplicemente, che a lui, alla sua volontà, non sia preferito niente e nessuno da colui che vuole essere suo discepolo. “L’affetto di un padre, la tenerezza di una madre, la dolce amicizia tra fratelli e sorelle, tutto questo, pur essendo molto buono e legittimo – dice Papa Francesco all’Angelus – non può essere anteposto a Cristo. Non perché egli ci voglia senza cuore e privi di riconoscenza, anzi, al contrario, ma perché la condizione del discepolo esige un rapporto prioritario con il maestro”.
La nostra vita è fatta di tanti fili sottili che ci legano, come il voler bene a una persona, l’affetto e la stima degli altri, il timore di non essere “qualcuno”, paure e insicurezze che ci impediscono di essere accoglienti, di guardare l’altro come un fratello e non un nemico, e di chiuderci nelle nostre pseudo sicurezze. Ma è questa la strada?
“Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. Cosa ci dice, dunque, Matteo? Essere discepoli di Cristo, essere cristiano, richiede scelte serie, altrimenti, per usare le parole di Papa Francesco, si è cristiani “da pasticceria”, delle belle torte, “cristiani da salotto”, più attenti alla forma che alla sostanza.
Francesco parlando ai fedeli all’Angelus, sottolinea due aspetti essenziali per la vita del discepolo: “Il suo legame con Gesù è più forte di qualunque altro legame; il missionario – ed è il secondo aspetto – non porta sé stesso, ma Gesù, e mediante lui l’amore del Padre celeste”. I due aspetti sono connessi per il Papa, perché “più Gesù è al centro del cuore e della vita del discepolo, più questo discepolo è trasparente alla sua presenza”.
“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”. Questo feeling trasforma il discepolo in un rappresentante di Gesù, dice Papa Francesco, “un suo ambasciatore, soprattutto con il modo di essere, di vivere”. Insomma per la gente, è sempre la riflessione del Papa all’Angelus, è importante percepire che “per quel discepolo Gesù è veramente in Signore, è veramente il centro, il tutto della vita”. Come ogni persona umana avrà “i suoi limiti e anche i suoi sbagli – purché abbia l’umiltà di riconoscerli – l’importante è che non abbia il cuore doppio, ma semplice, unito; che non tenga il piede in due scarpe, ma sia onesto con sé stesso e con gli altri. La doppiezza non è cristiana. Per questo Gesù prega il Padre affinché i discepoli non cadano nello spirito del mondo”.
Alla base di tutto c’è la forza dell’amore. Così se siamo spaventati da quelle parole esigenti, dare la vita, portare la propria croce, Gesù ai suoi discepoli dice che anche un piccolo gesto, come quello di dare “un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.
Come dire: non c’è amore più grande che dare la vita. Ma anche il gesto più semplice, più piccolo, che tutti possono permettersi, è un gesto non banale, ma vivo, vero. •
Fabio Zavattaro