Ma da allora niente è stato più lo stesso: da coppia di fidanzati, a coppia di sposi, a genitori…! Quanta strada da percorrere in compagnia di un esserino così piccolo, che è interamente riposto nelle tue mani e che ti riempie di tenerezza, di gioia e anche di angosciosi pensieri sull’essere o meno “capaci” di allevarlo. Anni dopo, quando il bimbo è cresciuto un po’, viene spontaneo pensare di dargli un fratello o una sorella, soprattutto dopo che hai scoperto che “fare famiglia” è proprio bello e tu, guarda un po’, ci sei tagliata! Allora, quando dopo un mese, sei mesi, un anno (o molti anni) questo secondo figlio non arriva, riappaiono all’orizzonte le nubi dei pensieri negativi: non sono più in grado di dare la vita, non me lo merito, mio figlio resterà solo al mondo. Poi, quando proprio non ci si sperava più, eccolo qua il test positivo! Gioia grande, grandissima e… un soffio freddo sulla schiena: perché un’altra volta tocca fare i conti con il bambino-tipo e con la famiglia-tipo, che hai iniziato a costruire nella tua testa e nel tuo cuore fin da bambina, quando giocavi a fare la mamma e a fare famiglia.
Questo “archetipo” di figlio è così forte che nemmeno il fatto di essere alla seconda esperienza evita del tutto che tu ne sia condizionata. Anzi, il bebè immaginario si riattiva proprio durante la gravidanza, con la conseguenza che – parallelamente ciò che avviene fisicamente nell’utero – si vive una sorta di “gestazione mentale”. Si cerca di immaginare come cambierà la famiglia passando da tre a quattro, il ruolo che il futuro bambino avrà all’interno della nuova famiglia e delle rispettive famiglie d’origine. Nelle notti della gravidanza – si sa – i sogni sono più vivaci, colorati e si riempiono delle immagini e delle rappresentazioni mentali del bebè “desiderato”, un bimbo o una bimba, con tutte le caratteristiche che potete immaginare: bello, forte, sportivo, affascinante, allegro, vivace, intelligente, dolce, simpatico… un bambino che riesce in ciò che tu avresti voluto fare, che ottiene la vita che tu avresti voluto avere.
Tutto ciò dipende naturalmente dalle esperienze personali della mamma e dalla sua immaginazione. Dall’altra parte, invece, fa la sua comparsa il bebè “temuto” in cui sono racchiusi alcuni schemi classici, ma anche tutta una serie di elementi personali: penso per esempio alla paura di avere un bambino Down, malformato, debole o semplicemente brutto, un bambino che diventerà antipatico o violento o alcolizzato come uno dei membri della famiglia o uno dei conoscenti o ancora come una persona che, per qualche ragione, ha influenzato l’esistenza della madre. Naturalmente tutte queste paure non sono presenti nello stesso tempo e con la stessa intensità nella testa di ogni madre: ce ne saranno una o due che saranno predominanti e le altre potranno fare capolino in seguito a determinate associazioni mentali, a incontri particolari, a libri letti, a film visti, a discorsi ascoltati, ecc. Contemporaneamente ti domandi che madre sarai per questo nuovo esserino. Fai appello alla tua propria madre, cerchi esempi di madri che ammiri a cui ispirarti e altre a cui, invece, non vuoi assolutamente assomigliare. Lo stesso tipo di lavoro mentale riguarda inoltre il padre del bambino, le due famiglie d’origine e tutte le cose della vita che cambieranno con l’arrivo del bambino.
Certo, la razionalità, la consapevolezza e l’esperienza ti guidano e stemperano questo processo mentale di gestazione emotiva del figlio, ma le emozioni si liberano e diventano pre-potenti, forse a causa degli ormoni… Avere sbalzi d’umore in gravidanza è concesso ed è bellissimo. È bruttissimo. È bellissimo. E comunque ad una donna incinta si perdona praticamente tutto. Basta non approfittarne (o solo con misura!). E infine viene il parto: passaggio molto poco simbolico dalla vita intrauterina a quella extrauterina.
È un momento di sostanziale disequilibrio, di trasformazione fisica ed emotiva in cui il bambino immaginario incontra il bambino reale. Per quella che è stata la mia esperienza, il parto mi ha colpito per la sua sconvolgente fisicità, in cui – o vuoi o non vuoi, sia che tu ti senta pronta o meno – il tuo corpo è programmato fin dall’inizio dei tempi per dare alla luce la vita, che sentivi fino a ieri muoversi dentro di te ed ora piange nella sala parto. Il corpo detta le regole e tu devi solo adeguarti, aspettando di accogliere tra le braccia, sopra la tua pancia disfatta un essere umano tutto nuovo, che da quel momento inizi a conoscere veramente. Tutto ciò è di una bellezza dis-umana, che confina con il divino. Perché è chiaro che il corpo femminile è stato “pensato” per le procreazione. A venti giorni dalla nascita di mia figlia, più che l’eco del dolore fisico delle doglie (ed ogni parto è sempre un’avventura) mi rimane dentro l’infinita meraviglia per la perfezione della Natura e del suo Architetto. In questo preciso momento mia figlia sta per svegliarsi nella sua culla e il suo pianto chiama il latte del mio seno.
Ecco sono mamma per la seconda volta: sono stata in grado di metterla al mondo, so come sfamarla e capisco subito se ha sonno o un dolorino. Sono piena di un sapere esperto che viene dall’istinto dell’essere madre e non dalle dotte letture con cui ho passato i mesi della gravidanza. Mi sento più stanca per le notti insonni e, certo, sono meno bella che con il pancione. Ma mi sento incomparabilmente più forte, perché ho contemplato la bellezza della vita e la sua forza nel venire al mondo. •