Tanto vicini tanto lontani

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numero 4Per diventare adulto l’adolescente deve conquistarsi la propria identità, scegliersi il grado di libertà che desidera avere come essere umano e continuare a sentirsi parte delle radici che lo hanno chiamato alla Vita. Per farlo, può utilizzare le sue risorse: lottare, sfidare, provocare, contestare, scoprire, rifiutare, sbagliare, rischiare, dubitare, trasgredire, rompere. Nello stesso tempo ha anche bisogno di sostegno, di qualcuno che riconosca le sue conquiste, allentando gradualmente il controllo.

Dovrà esercitarsi a lungo prima di riuscire nel meraviglioso gioco di appartenere e separarsi dalla sua famiglia di origine, per poi tornare, ancora, ma diverso. Anche i genitori hanno un compito altrettanto delicato: allearsi con le parti sane di questa bizzarra fase del ciclo vitale. Così facendo, mamma e papà, ognuno a suo modo, possono aiutare il figlio a rompere il guscio caldo e protettivo dell’infanzia, incoraggiarlo con fiducia ad assumersi la responsabilità della propria vita, a diventare se stesso.

Per allontanarsi dalla famiglia e imparare a fare da solo, il ragazzo ha bisogno anche di forza, di energie aggressive. Per alcuni di loro, queste energie possono diventare, per lungo tempo, l’unica modalità di stare in relazione e prendere le forme dell’ anoressia, della bulimia, della dipendenza, della depressione, di gesti suicidi, del bullismo, dell’ansia. Per altri invece, quelli che passano più inosservati e che preoccupano maggiormente dal punto di vista prognostico, la spinta vitale è così debole che si nasconde dietro al perfezionismo, alla troppa maturità, al troppo studio, al timore di sbagliare, alla dipendenza, alla rinuncia ad avere una voce diversa dalle generazioni che li hanno preceduti. Nel sintomo però, emergono sempre le parti sane delle persone. Il sintomo racconta una storia, un desiderio. Ci chiede di esserci, di ascoltarne la sofferenza e la fatica. Ma allora di quale fatica si tratta? “Che cosa vuole dirci nostro figlio con quello che sta facendo?” “Cosa chiede alla mamma? Cosa chiede al papà?” Tenere tra le mani queste domande significa scegliere di non delegare la nostra responsabilità educativa ad altri. Oggi, purtroppo, delegare le proprie responsabilità sembra essere diventato un atteggiamento molto comune. Deleghiamo il nostro pensiero politico, i nostri valori, il futuro. Deleghiamo la capacità di ascoltare il nostro corpo, la nostra salute agli esperti. Deleghiamo agli psicologi la responsabilità di stare nella relazione con i nostri figli, accettando di restare fuori dalla stanza di terapia, rassicurati dal fatto che non saremmo così costretti a metterci in discussione o ancora peggio, lasciandoci convincere che loro, i terapeuti, siano dei genitori migliori.

Delegano i padri quando chiedono o permettono alle mogli di occuparsi da sole dell’educazione dei figli, accettando di diventare per loro, dei perfetti estranei. Delegano i genitori quando pretendono che gli insegnanti siano capaci di far rispettare limiti che loro faticano a mettere. Deleghiamo la nostra responsabilità ai ragazzi, ancora peggio ai bambini, quando chiediamo loro di autoregolarsi da soli, di scegliere “mamma o papà?” in caso di divorzio, di realizzare i nostri sogni, di dormire perennemente nel “lettone” (quanti adolescenti ancora lo fanno!) e trasformarsi in “coniugi” per non sentire il freddo della solitudine, per evitare di rivisitare onestamente la relazione di coppia. Deleghiamo quando chiediamo loro di trasformarsi in piccoli adulti con funzioni genitoriali, o di restare il piccolo bambino/a di mamma e papà per non affrontare il fatto che stiamo invecchiando e che presto dovremmo lasciare a loro la scena principale. Ancora, deleghiamo, quando rinunciamo a dire un sano “No!”, con affetto ma fermezza, per paura di perdere il loro affetto, di essere rifiutati, presi dai nostri sensi di colpa perenni, inconsapevoli della fatica che facciamo ad emanciparci da loro. I figli hanno invece bisogno di un contesto dove i ruoli siano chiari, anche se non rigidi. Hanno bisogno di adulti capaci di assumersi la propria responsabilità, quindi il proprio potere.

Ognuno di noi può farlo perché tutti possediamo delle parti sane e vitali. Siamo capaci di essere esigenti, di provocarli facendoli misurare con i nostri valori. Siamo capaci di osservarli, ascoltarli, di essere pazienti, di amarli, di perdonarli, di dare loro fiducia, di essere fermi e coerenti ma anche flessibili e dotati di grande umorismo. Siamo capaci di obbligarli a negoziare, gradualmente, pezzetti di autonomia insegnando loro che la libertà e il potere si conquistano, che in una relazione si dà e si riceve. Siamo capaci di arrabbiarci, di urlare, di perdere il controllo, ma anche di chiedere scusa e di rassicurarli sul fatto che non siamo perfetti. Sappiamo che diventare grandi significa saper rispondere delle proprie azioni. Siamo capaci di ricordare come ci sentivamo alla loro età, abbiamo memoria ed esperienza da trasmettere loro. Perché lo abbiamo dimenticato? Chi ci ha convinto del contrario? Quando abbiamo smesso di farlo? Forse queste nostre risorse non sempre sono disponibili al momento necessario. Tuttavia possiamo scegliere di scovarle dentro di noi e imparare. Possiamo chiedere aiuto alla madre o al padre di nostro figlio. Possiamo guardare con affetto e perdono alla nostra storia. Riscoprire o scoprire nella famiglia allargata, enormi risorse. Chiedere l’aiuto di uno specialista, se necessario. Soprattutto, possiamo lasciarci aiutare dai nostri figli.

Smettiamo di correre, e iniziamo a prenderci cura delle nostre relazioni, a crescere insieme. Prendiamoci il tempo per farlo. Non è ovviamente, il semplice passare del tempo che permette il superamento della crisi e la crescita, ma è ciò che nel tempo siamo disposti a fare, a sentire. Il tempo del cambiamento dei nostri ragazzi non sempre coincide con il nostro. Pazienza! Cambiare è difficile, per tutti, grandi e piccoli e se non fosse per i preziosi momenti di crisi, tutti noi ci terremmo forse ben stretto il nostro caro e vecchio equilibrio. •

Emanuela Giusti ( Studio Associato di psicologia e psicoterapia L’Abbraccio)

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