Davanti al presepe tutta la famiglia recitava le preghiere della sera
Da bambina non vedevo l’ora che arrivasse il tempo del Natale per guardare mio padre tutto preso dal lavoro per il nuovo presepe di famiglia con la mollica del pane, la colla fatta con farina e aceto, la carta dei vecchi giornali. Il tempo, nella vecchia cucina con la stufa economica sempre accesa dall’autunno a primavera, con il suo dolce crepitio della legna che ardeva, dava all’atmosfera calma e calda della casa un tocco di buona armonia. Erano i momenti in cui potevamo parlare, io e mio padre. Essendo un militare trascorreva molte ore in caserma fra cannoni che mi spaventavano tanto solo a guardarli ed esercitazioni in montagna. Lui che era stato al Seminario di Fermo fino al ginnasio, mi raccontava con piacere la storia della nascita di Gesù mentre era intento a lavorare con mani sapienti alla creazione dei nuovi pupazzi del presepe o alla loro riparazione qualora ce ne fosse bisogno. Facevamo sempre cena tardissimo rispetto gli orari consueti e mamma finiva per brontolare perché a furia di riscaldare il minestrone sulla stufa, si finiva per consumarlo attaccato al fondo e dal sapore bruciacchiato. Papà la guardava con pazienza dicendole che il presepe avrebbe avuto più valore perché condito di pazienza sua e un pizzico di buonumore mio e di nonna. Mamma era addetta a tagliare e cucire gli abitini dei vari personaggi ma spesso le “sottane” o erano troppo corte o troppo lunghe. I Re Magi avevano invece bisogno di tessuti più pregiati e allora si ricorreva ai campioncini della nonna sarta. Erano quadrati di stoffa di vario tipo e colore, fermati con una specie di fermaglio d’ottone. Non servivano molto in realtà ma nonna ne era gelosissima e così il nostro bel presepe, una volta terminato, finiva per assomigliare alla vita di ogni giorno. I ricchi avevano vesti di velluto e panno caldo, i poveri abitini di cotone dai colori spenti e tristi. Ma il pezzo forte era la capanna. Ogni anno si rifaceva nuova di zecca ed era sempre più rifinita nei particolari. Il bue e l’asino erano distanziati dalla testolina santa del Gesù Bambino. La Madonna e San Giuseppe invece gli erano dappresso, con i volti assorti nel guardarlo in adorazione. I pastori assomigliavano ad alcuni parenti che avevamo nelle Marche. Trovandoci nel Trentino, chissà perché papà riusciva a tradurre la nostalgia per la sua terra nei visi dei compaesani lasciati da ragazzo. Infatti ad ognuno di loro assegnava gli stessi nomi: “Questo è Pierì, e questo Juvà. La venditrice di verdure con la cesta sul capo è Mariettina, la moglie di Pierì e questa con la gamba più corta è la sorella zitella di Juvà”.
Così tra un po’ di Vangelo e i racconti romanzati di papà sulla gente del suo paese natale finivo per sommare il tutto credendo che Gesù Bambino fosse nato ad Altidona invece che a Betlemme. Intanto la stufa continuava a riscaldare l’unica stanza calda della casa, il minestrone si attaccava al fondo e mamma non la finiva più di brontolare per lo spreco della preziosa minestra serale. Gli unici tranquilli erano la nonna intenta a cucire i cappotti rivoltati della gente del paesino dove abitavamo anche perché comprarne di nuovi era roba da “signori”. Mio fratello più piccolo nato da pochi mesi dormiva nella culletta beato sognando magari il caldo e dolce latte di mamma e il canto di una ninna nanna che lo cullasse. Ci voleva una buona settimana perché il presepe fosse pronto. Il risultato era fantastico!!! Muschio profumato e sassolini erano veri, raccolti durante le passeggiate in montagna, la neve era di soffice farina bianca e il laghetto delle papere di carta stagnola. Mio padre ci riuniva davanti al Presepe con gli occhi che gli brillavano e con lui si recitavano le preghiere della sera per tutto il periodo natalizio. Nonna mi raccontava degli angeli e dei pastori addormentati. Della lana filata, del formaggio e pane che le buone donne portavano alla Madonna per nutrirla che doveva allattare il Bambinello. L’unico un po’ defilato era San Giuseppe. Papà lo posizionava più vicino che poteva all’ingresso della capanna perché doveva fare la guardia. Erode cercava il piccolo Gesù per ucciderlo. Così nella mia fantasia immaginavo il mite san Giuseppe come un impavido guerriero pronto alla difesa della sua famiglia col suo lungo bastone in pugno mentre Erode incarnava quel male assoluto che una bimba di cinque anni potesse capire. All’arrivo dei Magi però sentivamo tutti un po’ di tristezza…Avremmo smontato di lì a poco il bel Presepe ed avvolto nella carta da giornale ogni singolo pezzo cominciando dalle pecorelle ricoperte da batuffoli di fiocchi di lana per passare ai cammelli, alle galline sparse lungo le stradine, fino ad arrivare ad ogni singolo personaggio. Gesù Bambino, la Madonna e san Giuseppe avevano una scatola tutta per loro. Ne ero felice perché così potevano stare in pace tutto l’anno senza il pensiero del cattivo Erode che li andava cercando. Gli anni trascorrono in fretta ed ora sono io quella che in famiglia mantiene viva la tradizione del Presepe. Le statuine dei vari personaggi, le case, gli animali, la capanna… tutto è certamente più bello di quanto avessimo allora.
L’effetto è lo stesso e la stessa nostalgia mi prende ogni Natale specialmente per la memoria di quelle mani sapienti di papà, l’odore della colla, il “profumo” del minestrone bruciacchiato, il calore della stufa a legna, il brontolare bonario di mamma, il capo chino della nonna sulla stoffa imbastita ma più di tutto quel pregare sommesso, calmo e sereno della sera che facevamo tutti insieme e che faceva sentire la nostra casa, come casa di Gesù. •