Don Lorenzo Milani (1923-1943): dalla nascita alla scelta di entrare in seminario passando per la fase artistica
“Dopo tutto sono un’anima anch’io e non c’è ragione di buttarmi a mare specialmente se si tiene conto della giovane età, della cattiva educazione, delle tare ereditarie e dei venti anni passati nelle tenebre dell’errore”
(Cfr. Don Lorenzo Milani, lettera a don Renzo Rossi, 01.12.1954, in “I libri di Corea, Lorenzo Milani profeta cristiano, Libreria Editrice Fiorentina, pag. 199, Firenze, maggio 1974).
I venti anni, di cui parla don Milani, sono quelli trascorsi in famiglia, a scuola, con gli amici, all’Accademia di Brera durante il breve periodo dell’infatuazione per la pittura, prima della conversione e della sua decisione di farsi prete.
Lorenzo Milani nasce “signorino” in una famiglia dell’alta borghesia fiorentina. Il papà di Lorenzo, Albano Milani, alla morte di Luigi Adriano Milani (Firenze, 9 ottobre 1914), nonno di Lorenzo, eredita un patrimonio considerevole: la tenuta “La Gigliola” a Montespertoli con i suoi venticinque poderi, la villa “Il Ginepro” a Castiglioncello, la casa a Firenze, un’elegante palazzina in stile neoclassico, viale Principe Eugenio 9, diventato oggi viale Antonio Gramsci. Lorenzo, come il fratello maggiore Adriano (1920-1986) e la sorella minore Elena (1929-2010), nasce in casa il 27 maggio 1923. Solo i morti di fame nascono allora in ospedale.
Luigi Adriano Milani, nonno di Lorenzo era un cattedratico, professore di archeologia, di numismatica e direttore del Museo Archeologico fiorentino; nel corso della sua vita pubblicò più di novanta scritti. Nel 1884 sposa Laura, la figlia di Domenico Comparetti e di Elena Raffalovich, da cui ebbe quattro figli: Albano, Piero, Giorgio ed Elisa. L’antenato più illustre di don Lorenzo Milani fu senza dubbio il bisnonno paterno Domenico Comparetti (1835-1927). Giorgio Pasquali, amico della famiglia Milani, lo definisce: “Grecista, latinista, epigrafista e folklorista, tra i filologi e stranieri quello di più larghi interessi e di più estese ricerche”. Conosceva diciannove lingue, fra le quali alcune slave. All’età di cinquant’anni o giù di lì fece un viaggio in Finlandia per apprendere direttamente sul posto il Finnico. Impiegato presso la farmacia di famiglia, a Roma, oltre a dosare medicinali, leggeva, spiegava e integrava un papiro greco. Il risultato di studi e pubblicazioni gli valse, a ventiquattro anni, la cattedra di letteratura greca all’università di Pisa. Fu eletto anche senatore nel Regno d’Italia. A Firenze abitava in una casa comoda, luminosa, piena di libri e di opere d’arte. Non avendo eredi maschi, l’unica figlia Laura andava in sposa a Luigi Adriano Milani, ottenne che i suoi nipoti aggiungessero al proprio cognome quello di Comparetti. Il nome completo di Lorenzo Milani era, infatti, Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti. Esiste una fotografia che lo ritrae al fianco del bisnonno, “un bambino paffutello sui tre anni che si appoggia alla gamba di un vegliardo con la barba, seduto a godersi il sole con una papalina sui capelli canuti e fluenti” (Neera Fallaci, Dalla parte dell’ultimo, vita del prete Lorenzo Milani, pag. 17, Milano 1974).
Anche Albano Milani, il papà di Lorenzo non era da meno dei suoi illustri antenati. Era laureato in Chimica ma si occupava di letteratura e filosofia. Conosceva perfettamente sei lingue, per questo volle che i suoi figli Adriano, Lorenzo ed Elena apprendessero fin da piccoli le lingue con istitutrici tedesche, tra tutte la signora Elena Kraustover che fu anche la madrina di battesimo dei tre fratelli Milani. La casa in viale Principe Eugenio era un vero centro culturale, che in estate si allargava ai nipoti, un chiassoso gruppo di cugini, capaci di spaccare le parole in quattro anche per passatempo. Questa passione per lo studio delle lingue sarà una costante per don Lorenzo Milani, prima a Calenzano, poi a Barbiana: “Faccio scuola ai contadini e agli operai e ho lasciato ormai quasi tutte le altre materie. Non faccio più che lingua e lingue. Mi richiamo dieci, venti volte per sera alle etimologie. Mi fermo sulle parole, gliele seziono, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi” (Don Milani, Lettere, pag. 57-58). Don Lorenzo Milani conosceva sette lingue. Tedesco, Inglese, Francese, Spagnolo, Greco, Latino, Ebraico.
Albano Milani possedeva poi una discoteca notevole che permise ai suoi figli di imparare a capire la musica classica come e quanto lui. Sarà Lorenzo, molti anni più tardi, a saccheggiar quella discoteca, per avvicinare a Bach e a Beethoven i giovani della Scuola Popolare di San Donato.
Altro momento di crescita per i figli di Albano Milani ma anche per i figli dei suoi fratelli erano le estati che tutti i Milani trascorrevano al mare. Albano, Alice Weiss, sua moglie, Adriano, Lorenzo ed Elena si recavano presso la villa “Il Ginepro”; i cugini Paolo e Laura, in famiglia detta Lalla, i figli di Giorgio e Lina Milani li raggiungevano nella vicina villa “Il Belvedere”, presso Castiglioncello. La tribù dei Milani si mischiava con quelle dei Pavolini, Samueli, Cesarò, Valori, Tofano, Olschki, Castelnuovo Tedesco, Rigutini. Alcune famiglie provenivano da Milano, altre da Roma o da altre parti d’Italia. Era il fior fiore della borghesia del tempo.
Tutti i Milani erano anticlericali, agnostici e laici. Albano Milani e Alice Weiss si sposarono nel 1919 con solo rito civile. Decisero di sposarsi in chiesa il 26 giugno del 1933, a San Pietro in Mercato, la parrocchia toscana della loro casa di campagna e di far battezzare i figli il 29 giugno dello stesso anno. Adriano, il figlio più grande, iscritto nell’inverno inoltrato del 1930, alla prima ginnasiale dell’Istituto “Zaccaria” gestito dai padri Barnabiti, si sente chiamare eretico dall’insegnante di Religione, perché non battezzato. Quando poi a scuola si seppe che i suoi genitori erano sposati solo con rito civile furono additati come pubblici concubini.
Il dott. Albano era un uomo troppo intelligente e attento alle vicende politiche per non rendersi conto quale pericoloso meccanismo si fosse messo in moto. Nel 1933 Hitler era diventato cancelliere del Terzo Reich. Il fanatismo avrebbe potuto creare problemi alla propria famiglia. La mamma dei ragazzi Alice Weiss era di fede ebraica, anche se non praticante. I figli di conseguenza erano di sangue misto. Questi non lo sapevano, anche perché per loro la mamma era la mamma e basta. Alice Weiss (Trieste, 6 settembre 1895 – Firenze, 1 agosto 1978) era figlia di un commerciante di carbone, che abitava a Trieste, ancora governata dagli Asburgo, cugina di Edoardo Weiss, allievo di Freud e amico dello scrittore irlandese James Joyce. Una lunga amicizia legava poi la famiglia Weiss al grande romanziere triestino Italo Svevo.
Il periodo milanese
Nel 1930, Albano Milani, anche per le sopraggiunte difficoltà legate alla grave crisi del ’29, trasferì tutta la propria famiglia a Milano, trovando un’occupazione in un’importante industria chimica. Vendette la casa di viale Principe Eugenio e mantenne la proprietà della Gigliola e del Ginepro, dove ritornava d’estate con la moglie e i figli; il fratello Giorgio aveva trasferito anche lui la propria famiglia a Settignano. Nella città meneghina i Milani andarono ad abitare, prima in via del Conservatorio 15, poi in via Fiamma 26 e fecero del tutto perché i figli fossero i più integrati possibile. Lo stipendio di Albano Milani non era quello di un impiegato qualsiasi. Elena venne iscritta nella scuola privata “Vittoria Colonna”, in via del Conservatorio. Lorenzo, terminata la Scuola Elementare “Emilio Castiglioni” in via della Spiga, nel giugno del 1934 sostenne gli esami d’ammissione alla prima ginnasiale al Liceo-Ginnasio “Berchet” di via Commenda, dove studiava già suo fratello Adriano. Ma in ottobre venne iscritto all’Istituto “Zaccaria” dei padri Barnabiti, dove frequentò la seconda ginnasiale prima di approdare di nuovo al “Berchet”. L’influenza dei padri Barnabiti si fece evidentemente sentire, se un giorno Lorenzo annunciò di voler fare la prima comunione. I genitori rimasero stupiti ma non si opposero alla decisione del figlio. Lorenzo si preparò alla dottrina con il vecchio pievano don Vincenzo Viviani, parroco di San Pietro in Mercato, durante le vacanze estive passate a Gigliola e fece la prima comunione. Il ragazzo andava maturando delle scelte personali alla soglia dell’adolescenza, un’età nella quale ogni ragazzo cerca di costruirsi e affermare una propria identità. Il profitto negli studi comunque lasciava a desiderare, complice anche il cattivo stato di salute che convinse il papà e la mamma di mandarlo a Savona, in riviera, dalla zia Beatrice Rigutini. Qui frequentò il “Regio Liceo- Ginnasio Chiabrera” di Savona. Gli esami di quinta ginnasio furono un tonfo. Lorenzo Milani fu rimandato con tre in Italiano e quattro in Latino. Riparò a ottobre con un sette in Italiano e sei in Latino. L’inizio della prima Liceo al Berchet fu traumatico. Alla fine del primo trimestre aveva collezionato ben cinque insufficienze in storia, greco scritto e latino scritto (cinque), quattro in filosofia, scarso in religione. Nel secondo trimestre fece un gran numero di assenze tanto da non venir classificato in italiano, greco, matematica, storia dell’arte. Non riusciva ad adattarsi ai convenzionalismi della scuola, contro cui si scaglierà in Lettera a una professoressa: “Durante l’interrogazione la classe è immersa nell’ozio e nel terrore. Perde tempo perfino il ragazzo interrogato. Tenta di non scoprirsi. Sfugge le cose che non ha capito, insiste su quelle che sa bene. Per contentare lei basta saper vendere la merce. Non star mai zitti. Riempire i vuoti di parole vuote. Ripetere i giudizi del Sapegno con la faccia di uno che i testi se li è letti nell’originale. O meglio ancora buttar giù opinioni personali. Lei le opinioni personali le tiene in gran considerazione. Secondo me il Petrarca.
Forse il ragazzi avrà letto due poesie, forse nessuna” (Lettera a una professoressa, pag. 128/ 129). Lorenzo fu sul punto di smettere. I suoi genitori si opposero. Il ragazzo s’impegnò e, alla fine dell’anno i professori fecero “i segnini sul registro” (immagine sua), sufficienti a farlo passare in seconda liceo. Decise però di non frequentare la scuola e di passare direttamente in terza, presentandosi da privatista a ottobre al Berchet, studiando da solo durante l’anno e d’estate nel suo eremo di Gigliola, mentre i suoi andavano al mare di Castiglioncello. I professori lo ammisero in terza liceo perché aveva scritto “un tema geniale”. Al termine del primo quadrimestre del nuovo anno scolastico, la pagella è piena di insufficienze. Il ragazzo risentiva dello sforzo fatto durante l’estate. Nel secondo trimestre accanto ad una sfilza di sei c’è un sette in Italiano. Aveva scritto un altro tema geniale. La scuola si chiudeva in anticipo per la guerra. Lorenzo Milani, come i suoi compagni, veniva dichiarato maturo in base alle classificazioni del secondo trimestre. Era il 21 maggio 1941. Terminato il liceo, Lorenzo si oppose al volere dei suoi genitori che lo vedevano all’Università. Il ragazzo fu irremovibile: “Io all’Università non ci vado”.
Avendogli chiesto cosa avesse intenzione di fare nella vita, Lorenzo rispose: “Il pittore”. I genitori caddero dalle nuvole. Da ragazzo disegnava un po’ meglio dei suoi compagni e si divertiva a dipingere, ma nulla poteva far pensare che quella fosse la sua strada. Il padre pensò subito all’ennesima bambinata, comunque si adoperò per trovargli un maestro di pittura a Firenze nel corso dell’estate del 1941. Informò l’amico di famiglia, il prof. Giorgio Pasquali che provvide subito, accompagnando il ragazzo nello studio del pittore Hans Joachim Staude in via dei Serragli, a Firenze. Lorenzo Milani rimase nello studio del pittore da maggio a settembre del 1941, poi ritornò a Milano, dove il padre gli aprì uno studio privato in uno scantinato di un palazzo in piazzale Fiume, attuale piazza della Repubblica, con tanto di portiere con la divisa bordata di galloni, che sostava all’ingresso. Lorenzo Milani inizia la vita da bohémien. Dipinge e i suoi quadri, recuperati dalla Fondazione don Milani di Vicchio, denotano che hanno un certo valore. Intanto comincia a bazzicare il Duomo perché, come pittore gli interessava dipingere i paramenti dei porporati in certi riti solenni. Pensa che, se esistevano quei colori, ci dovesse essere una ragione e la trova. D’estate, trova un vecchio messale nella chiesetta sconsacrata della tenuta “La Gigliola”.
Lo sfoglia e lo trova più interessante dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, come scrisse in una sua lettera all’amico Oreste Del Buono (1923- 2003), compagno di classe al Berchet, assieme a Saverio Tutino (1923- 2011). Lorenzo piaceva alle ragazze, attratte dal suo sguardo magnetico, dal fascino fisico e dall’intelligenza. Tiziana, di cui non si conosce il cognome, sostenne l’esame di ammissione all’Accademia assieme a Milani e gli fu amica finché Lorenzo rimase a Milano. Marcella Olschki, ragazzina vivace e bellina, come dice lei di se stessa, era convinta che sarebbe stata capace di affascinarlo ma non ci riuscì. La donna che accompagnò Lorenzo, in un colloquio di amore e di contrasto, verso la scelta sacerdotale fu Carla Sborgi (1923-1993), alunna anche lei del Berchet prima e iscritta all’Accademia di Breda poi. I due avevano iniziato a scrivere assieme un libro sulla liturgia. “Ecco, ora vi presenterò la mia ex fidanzata – disse don Milani ai ragazzi, presentando loro Carla, che andò a trovarlo sul letto di morte. – È l’unica persona al mondo a cui ho fatto del male, aggiunse il priore” (Mario Lancisi, Don Milani, la vita, pag. 32-34, Piemme, Milano 2013). Lorenzo Milani andava maturando la scelta di farsi prete. Lo comunicava ai propri genitori, mentre si trovava a tavola, in un giorno imprecisato del mese di settembre. Era il 1943.
La mamma sul momento scoppiò a piangere ma non ostacolò affatto la scelta fatta dal figlio, anzi lo accompagnò con sollecitudine per tutti gli anni del seminario; lo difese durante il periodo in cui don Lorenzo era cappellano a Calenzano prima e priore di Barbiana poi, gli diede sempre saggi consigli, lo amò con tenerezza di mamma fino alla morte. Lorenzo Milani entrava nel seminario di Cestello, a Firenze, il 9 novembre del 1943. •