Le ultime volontà di una mamma dettate ad una figlia
Carissimi figli,
vi scrivo per inviarvi auguri anticipati di una Santa Pasqua. Non la festeggeremo insieme perché sarà la mia ultima Pasqua su questa terra. Per voi, la prima Pasqua, senza vedere fisicamente vostra madre. Spero che le forze non mi abbandonino e riesca a connettere i pensieri che desidero lasciarvi nero su bianco. Trasmetterli a voce non ci riuscirei. I vecchi si commuovono facilmente, piangono e fanno piangere. Vostra sorella maggiore ha il compito di condividere con voi le mie ultime parole.
Ho cercato di vivere nel silenzio e nella discrezione il dramma di un figlio invalido, vostro fratello minore, occupandomene per circa trent’anni, evitandovi per quanto possibile il peso della sua malattia. Per me, come per vostro padre che non c’è più da tempo, e per voi figli è stato un cammino difficile da affrontare.
Sono alcuni anni che non sto bene, alla fine il mio fisico non ha più retto e dopo tanti ripensamenti ho accettato il vostro consiglio di farmi visitare per accertamenti. Purtroppo sono stata colpita da mieloma multiplo. Si tratta di un cancro che distrugge le difese immunitarie.
La consapevolezza di essere alla fine la sento da oltre un anno ma ho volutamente taciuto. Temevo che andando in Ospedale fossi costretta a trascurare il figlio più fragile. Oggi sono io a sentirmi inerme. Il mio Capodanno l’ho trascorso in un fondo di letto. Il mondo mi è crollato addosso senza che potessi porvi rimedio. Ricordo quando in apprensione e forse, per la prima volta consapevoli del mio stato, mi avete condotta urgentemente in Ospedale a Fermo. Il quadro che i medici vi hanno dato è stato subito drammatico e spietato. L’ho capito guardandovi nei vostri occhi smarriti.
Ho sopportato il dolore di tante invasive analisi, respingendo fin che ha potuto, ogni sollievo medico. Una scelta per offrire al Signore un po’ del mio dolore per il bene di voi tutti, in modo speciale per vostro fratello così desolato senza il braccio forte della sua mamma. Ve lo affido. Ora tocca a voi.
Sono diventata un simbolo di forza al reparto medicina nel tempo della mia lunga degenza. Una forza che ha saputo nascondere tante lacrime. Assistita amorevolmente da tutti voi giorno e notte, ho salutato medici e infermieri una fredda mattina di febbraio, senza alcuna speranza.
Ricordo ancora il viaggio in ambulanza dall’ospedale a casa. Eravamo tutti silenziosi. Avete pregato accanto al mio letto per ore intere, affidandomi alla Volontà di Dio. Troppo stanca per parlare vi seguivo con la mente. Vi ho chiesto di non ricevere visite se non quelle dei più stretti familiari. Troppo breve il tempo rimastomi per sprecarlo. Ho chiesto a tutti voi di essere ricordata com’ero, quando ancora mi sentivo bene. Il mio corpo pian piano va disfandosi come un gomitoli di lana. Ogni giorno si fa più esile. Ci sono stati momenti in cui sembrava fossi una miracolata: repentina ripresa della salute e delle forze.
Il medico che è venuto a visitarmi a casa vi ha spiegato che spesso questi sbalzi di “buona” salute sono “gli scherzi” di questo brutto male. L’ho sentito anche se avete avuto la delicatezza di accostare la porta della mia camera.
In Ospedale ho potuto ricevere Gesù quando mi è stato permesso, ma due volte sole una volta a casa. Ho capito, peggiorando di giorno in giorno, che poteva essere imminente la mia fine. Ho dettato questa mia lettera a vostra sorella, seduta accanto al mio letto e in lacrime. Vi ho chiesto il bacio della buonanotte come di solito, immersa nei miei forti dolori. Perdonatemi se di notte, vi ho tenuti svegli con continui lamenti che sapevo straziarvi l’anima. Non sono riuscita a trattenermi.
Vostra sorella che mi ha accudita con il marito ha avuto l’idea di lasciare accesa la luce di cortesia, perché non avessi paura del buio come quando ero una bambina. Grazie figli miei del vostro amore per me. Chiederò al Signore di farvi ancora da mamma quando sarò lassù con Lui.
Arrivederci e non addio.
Mamma
Chi mi ha fatto pervenire la lettera ha chiesto la cortesia dell’anonimato. Raggiunta per telefono per ringraziarla di una così preziosa testimonianza, mi ha chiesto di aggiungere il finale:
All’una del sabato santo, mio marito ha sentito un flebile lamento provenire dalla stanza accanto la nostra, dove mia madre ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita. Si è alzato ed ha compreso. Le ha accarezzato la mano ormai inerte, iniziando a recitare lentamente e sommessamente i misteri della Gioia. All’ultima Ave Maria della prima decina, mia madre ha aperto gli occhi. Lo sguardo era lucido e intenso, il respiro affannoso. Ha guardato chi le era vicino, i lamenti sono cessati come non sentisse più nulla e ha guarda il soffitto della stanza. Il respiro si è fatto sempre più lieve, ha reclinato il capo ed è spirata. L’orologio segnava l’una e trentacinque minuti.
La casa era immersa in un silenzio di morte. Mamma ad occhi chiusi faceva trapelare un dolce sorriso di pace. È nata al Cielo! Abbiamo chiamato il medico di guardia per gli atti burocratici necessari, i parenti e tutto ciò che occorre in questi casi. Non c’è stato tempo neanche per le lacrime. L’ho vestita come mi aveva chiesto. Tra le mani il Rosario regalatomi da una suora per il mio diciottesimo anno di età.
Al collo lo scapolare e la Croce di San Benedetto con la Medaglia Miracolosa che portava durante la malattia. Al fianco destro, una statuina della Madonna di Medjugorje alla quale era molto devota. Due anni prima aveva contribuito all’acquisto della statua della Madonna di Medjugorje che si trova in una chiesa del territorio e attualmente inagibile.
Abbiamo rispettato tutte le sue volontà. La sua malattia è stata la lezione di vita più grande che potesse donarci. Ha riunito tutta la famiglia anche nel dolore. Le ultime parole di mamma sono state per il figlio più fragile. A volte quando sono da sola, la chiamo come fosse ancora con me nella sua stanza dove trovo riposo. Non poter più pronunciare la dolce parola “mamma” mi rattrista, tuttavia mi consola la certezza che Dio, l’abbia accolta fra le Sue braccia togliendole ogni affanno e sollevandola finalmente da questa valle di lacrime che è stata la sua vita.
Nel retro di una foto di famiglia, la signora dell’articolo, ha trovato un foglio della madre scritto a mano. Risale a circa cinque anni prima della sua scomparsa e le ho promesso di pubblicarlo:
“Gesù, credo che Tu ami mio figlio, più di quanto lo ami io. Pertanto Te lo consegno, Te lo affido, è più Tuo che mio. Provvedi che la potenza del Tuo amore lo riporti in salute. Desidero vivere tranquilla senza ansie e senza angosce pensando che l’ho messo in mani sicure. Voglio vivere serena, attendendo con fede il miracolo della sua guarigione e conversione. Anzi incomincio a ringraziarTi e a lodarTi sin d’ora, perché mio figlio malato è di nuovo a casa con me.”
Non mi sento di aggiungere altro. •