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Dalla tribalizzazione al Bene Comune

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Dall’affresco di Lorenzetti una lezione per l’oggi

«La piazza è un luogo emblematico, dove le aspirazioni dei singoli si confrontano con le esigenze, le aspettative e i sogni dell’intera cittadinanza; dove i gruppi particolari prendono coscienza che i loro desideri vanno armonizzati con quelli della collettività. Io direi – permettetemi l’immagine -: in questa piazza si “impasta” il bene comune di tutti, qui si lavora per il bene comune di tutti».
È l’incipit del discorso di papa Francesco a Cesena, il primo ottobre dello scorso anno. Uno spunto e, indirettamente, un invito a cambiare mentalità, a riprendere il concetto base del comune bene. A lavorare insieme, soprattutto. A mediare le proprie richieste, cercando un punto di incontro. Invito non semplice, anzi. Non tanto perché la società si è sciolta – il “liquido” di Bauman è oggi superato – quanto per l’esatto contrario: la rincorsa alle tribù. Ma tribù strane, ridotte di contenuti, emozionalmente formantisi intorno agli idoli del momento, siano essi un profumo, un’auto antica, una birra, una calzatura, un jeans, una Fiat 500, una battaglia animalista o una guerra sui vaccini. Mode del momento, il cosiddetto “bello istantaneo”, dove l’emozione è diventata un diritto. E quante emozioni, dunque, da rappresentare! E quanti diritti, dunque, da pretendere!
La politica ne risente. Eccome. I partiti tradizionali sono stati spazzati via nella prima e nella seconda repubblica. Hanno contribuito loro stessi a farsi cancellare, corrotti dall’anello del potere, insensibili alle invocazioni della gente, arroccati com’erano nella «torre d’avorio del loro orgoglio e della loro disperazione», avrebbe scritto Drieu La Rochelle. Distanti, sordi, disattenti.
Il recente voto è stato un segnale inequivocabile. Una rivolta: tutto quel che è esistito in precedenza va cancellato. Tabula rasa!!!
E pure, «la politica è la dimensione essenziale della convivenza civile», del compromesso, che non è l’inciucio, ma promettersi qualcosa insieme, l’obbligarsi insieme.
Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti erano avversari, rocciosi avversari in tempi di Guerra fredda. Insieme visitarono Matera e le sue povertà. I Sassi li colpirono. Insieme s’impegnarono per superare quell’indigenza.
Di qualche giorno fa l’intervista di Fabio Fazio a Ciriaco De Mita a Che tempo che fa. Alla domanda: come sta l’Italia, il vecchio democristiano ha risposto: non è un dramma è una tragedia. Forse l’età ha contribuito a fargli vedere tutto nero. Ma la situazione sociale se non è compromessa poco ci manca.
Non debbono essere facili queste ore per il Presidente Sergio Mattarella. C’è un governo da comporre, ci sono spaccature e veleni dappertutto. False dichiarazioni e false notizie.
Lui non perde occasione però per chiamare all’unità, perché sa bene che sotto sotto questo paese, ma non quello che raccontiamo noi giornalisti, ha ancora molto di buono da offrire. Purtroppo questo “buono” è sotto il pelo dell’acqua. Non lo si coglie subito. Non lo vedono le tv, neppure i giornali, figurarsi i social.
Dove guardare, per ricominciare? C’è un trattato di politica sul bene comune che non è scritto a penna. Non lo ha redatto un politologo o una schiera di sociologi. È un affresco, realizzato dalla mano di Ambrogio Lorenzetti. Lo si può vedere sulle pareti del palazzo del Governo di Siena. Sembra dipinto per l’oggi. Parla dell’oggi. Ma ha sette secoli di meno.
È l’immagine del Buon Governo. Lo determinano 24 figure. Sono il popolo. Sono i componenti le arti e i mestieri. Hanno in mano una corda. Vi si appoggiano e la traggono. L’hanno ricevuta da una figura accanto che ha intrecciato due fili. I fili vengono dall’alto. Scendono dalla Sapienza, che è sàpere, sapore, condimento, essenza delle cose. Passano in mano alla Giustizia, che è distributiva e ripartitiva. Giungono alla Concordia, che di due fa un unico filo grosso, una corda appunto. Con la stessa corda ovvero con lo stesso cuore, cum cordis. I 24 prendono il canapo, sospingono così la città, le sue attese, le sue aspirazioni, la muovono perché essi stessi impegnati direttamente. E si muovono verso il Comune bene, il reggitore della cosa pubblica, a cui portano, senza lasciarla, quella corda intrisa di valori e di civismo comunitario. Perché la cosa pubblica, in primo luogo, sono loro a determinarla, viverla, plasmarla.
Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country, disse J.F. Kennedy alla sua gente: non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese. Tu, noi, tutti. Tutti insieme. Ma perché accada occorre anche un’educazione, che non sono le buone maniere. Ma una proposta positiva di vita buona.
Poi, verrà anche la politica, quella “alta”. •

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