Uomo di cultura e di fede

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Don Galiè: per la gloria di Dio e in suffragio dei miei cari

Mi è stato chiesto di fare un ritratto del percorso e della personalità di don Vincenzo: lo faccio per come l’ho potuto personalmente conoscere dal 2001 ad oggi e per quanto mi è stato dato di sapere del periodo precedente.
Don Vincenzo è nato a Montefiore dell’Aso, allora provincia di Ascoli e diocesi di Fermo, il 20 agosto del 1940 secondogenito di Pierino e Angela Fraticelli. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 19 marzo del 1965 nella solennità di San Giuseppe, come spesso allora si usava. Dopo un breve periodo come vicario cooperatore contemporaneamente nelle parrocchie di Santa Maria Apparente a Civitanova e della Santissima Annunziata a Montecosaro Scalo, il 24 settembre del 1967 è stato nominato secondo e ultimo parroco della piccola comunità di Montecanepino, creata parrocchia solo 11 anni prima e poi accorpata a quella di Potenza Picena nel 1986. Dopo quell’anno ha continuato a risiedere a Montecanepino ed ha svolto contemporaneamente l’incarico di Cappellano dell’Istituto Santo Stefano nel quale poi, per i capovolgimenti che a volte la vita ci riserva, si è ritrovato degente in questo ultimo anno. Nel 1999, assieme all’anziana mamma, la partenza per Campofilone, parrocchia in cui è rimasto fino al dicembre del 2016 quando la malattia lo ha costretto ad interrompere il suo ministero anche se, in realtà, come prevedono le norme, aveva già presentato le dimissioni fin dall’anno precedente, al compimento dei 75 anni. In entrambe le comunità don Vincenzo si è fatto apprezzare e non è retorica dirlo: il carattere buono, il senso genuino dell’amicizia, la capacità di essere davvero di compagnia e le risate abbondanti rendevano particolarmente piacevole lo stare con lui e, soprattutto, per entrambe le comunità si è speso. A Montecanepino, dove non c’era altro che una contrada di campagna con una chiesetta, ha costruito la chiesa nuova, fondato il circolo Acli, dato inizio alla fortunata festa paesana del lunedì di Pasqua; a Campofilone ha ristrutturato la casa parrocchiale e la chiesa ridotte davvero in condizioni pietose prima del suo arrivo e soprattutto, la ricca storia dell’abbazia poi diventata parrocchia, gli ha permesso di sfoderare tutta la sua cultura storica creando il museo liturgico-archeologico e per un periodo anche quello malacologico con una ricca collezione di conchiglie e fossili marini. Però, senza nulla togliere alla secondogenita, per don Vincenzo, Montecanepino è stato il primo e direi anche il più intenso amore, la comunità nella quale e con la quale ha tessuto i legami più forti e che di fatto, non ha mai abbandonato: fino al 2016 è stato lui la spalla forte, l’animatore e soprattutto l’elemento caratterizzante della festa di San Vincenzo.
Io l’ho conosciuto non appena sono arrivato a Porto Potenza come collaboratore perché lui quasi tutte le domeniche pomeriggio, tornava a Montecanepino a trovare il fratello e la famiglia, a giocare a carte al circolo e poi alla sera scendeva qui a Porto Potenza e tra sacerdoti si sgranocchiava qualcosa. Tempi belli che ricordo con una certa nostalgia e anche con commozione; di quei 6 preti che si ritrovavano abitualmente siamo rimasti in 2, io e don Cesare che è poi della stessa classe di don Vincenzo. Ma fino al 2006 c’erano anche don Carlo Leoni, don Luigi Bella e don Giovanni Ginevri. Peraltro don Vincenzo e don Carlo che battibeccavano spesso per questioni relative alla parrocchia di Potenza Picena – in cui entrambi erano stati se pure con ruoli diversi – adesso condividono l’anniversario di morte, il 16 febbraio a 7 anni di distanza l’uno dall’altro. Ma la comunità di Montecanepino, proprio perché piccola, ha permesso a don Vincenzo di vivere esperienze significative quali il decennio di rettorato del collegio Fontevecchia di Fermo, il periodo trascorso in Zambia e Iran come cappellano di cantiere e soprattutto gli ha lasciato il tempo per potersi iscrivere all’Università di Macerata e laurearsi in lettere classiche con indirizzo archeologico nel 1974. La sua tesi di laurea è rimasta sempre il suo cavallo di battaglia: si intitolava “La questione lauretana tra storia e leggenda” poi arricchita da ulteriori studi e ripubblicata nel 1996. Quando sono arrivato in parrocchia a Porto Potenza ne ho trovata una copia impolverata in una stanza dove giacevano vari libri più o meno inutilizzati ed è stata l’occasione per leggerla; quando poi l’ho incontrato gliel’ho detto e ricordo che lui, scrollando le spalle, ha fatto un sorriso e mi ha risposto “Beh, a Porto Potenza i miei libri possono servire giusto per fare polvere”; ironicamente – o forse neanche più di tanto – con un sorriso ci diceva che noi eravamo preti culturalmente scadenti ma poi una volta andato dall’altra parte della diocesi, in Valdaso, aggiungeva che là erano proprio scaduti e allora noi avevamo recuperato qualche punto ai suoi occhi.
Tornando alla tesi di laurea mi aveva colpito il sottotitolo che recita “perché la Santa Vergine, Madre, Corredentrice e Mediatrice del genere umano sia finalmente venerata con un culto libero e sciolto da credenze e leggende di sapore medioevale e senza fondamento storico”. Nel tempo ci ho visto una sintesi dell’approccio di don Vincenzo alla fede, integra per contenuto, come dice anche il titolo in relazione alla Beata Vergine Maria, Madre, Corredentrice e Mediatrice, ma critico nel vagliarne le manifestazioni per le quali pretendeva fondamento e ragionevolezza. Nell’introduzione ha scritto: «a qualcuno, superficiale o integralista, può sembrare che in me ci sia una volontà precisa di dissacrare quello che viene venerato da moltitudini di fedeli da secoli: niente affatto! Gesù ha detto “il vostro linguaggio sia sì e no”: in me c’è solo il desiderio sincero di giungere alla verità». D’altronde la sua formazione era di indirizzo storico e archeologico; alla fine della sua vita ha collezionato quasi 90 pubblicazioni. Eppure quasi nessuno di noi lo ha cercato e apprezzato per la sua cultura, anche perché non ne faceva sfoggio: le sue omelie piacevano alla maggioranza non certo per i complessi contenuti culturali quanto per l’ironia e la battuta che spesso suscitavano un sorriso se non addirittura una risata. Eppure la sua cultura era reale anche da me riconosciuta molto tardi, precisamente del 2009 quando ero parroco a Potenza Picena e lui venne a scavare nell’archivio parrocchiale per ritrovare le relazioni originali di due visite pastorali da inserire in una pubblicazione; lì mi accorsi della portata nascosta delle sue conoscenze perché si trattava di documenti del 1573 e del 1765, di fogli ingialliti, scritti molto fitti in latino, a mano, e lui si è messo a leggerli e a tradurli con una facilità che mi ha lasciato davvero senza parole.
Ma la fede di don Vincenzo non era solo una questione di mente ma anche di cuore e di fiducia reale nel Signore: l’abbiamo visto in quest’ultimo anno nel quale la malattia lo ha spogliato di tutto quello che faceva la sua vita di prima – la libertà di muoversi, la possibilità della compagnia, delle feste, di leggere, di scrivere eppure l’ho visto sereno e a volte addirittura sorridente e capace di scherzare.
Un ultimo tratto mi viene in mente di don Vincenzo ed è la sua generosità; chi non ha visto le condizioni della casa e della chiesa di Campofilone al suo ingresso in parrocchia non se ne può rendere conto. Ogni volta che lo andavo a trovare vedevo sistemato un nuovo pezzo e nell’arco di questi anni ha rimesso in sesto praticamente tutto ma per noi preti era evidente che una parrocchia di quelle dimensioni non poteva avere le risorse per questi lavori e infatti lui stesso ci aveva confermato di aver attinto dalle sue risorse personali e da quello che gli avevano lasciato i genitori. Quando gli abbiamo chiesto perché, la sua risposta è stata limpida: “L’ho fatto per la gloria di Dio e in suffragio delle anime dei miei cari”.
Caro don Vincenzo, adesso sei al cospetto del Padre in quella eternità dove puoi vedere tutto e comprendere tutto, senza ombre e senza veli; non hai più bisogno di immaginare perché contempli e soprattutto puoi sapere quanto i tuoi studi ti sono stati realmente utili per avvicinarti alla verità. Ma la cosa più importante è che sei nell’abbraccio di Dio, del suo amore, quell’amore che il tuo sorriso, la tua disponibilità e anche le tue battute ci hanno permesso in parte di assaggiare in questa vita. Credo che non solo io ma molti dei presenti oggi sentono di doverti ringraziare perché con il tuo modo di fare hai reso meno pesante e più piacevole il nostro percorso terreno. Grazie don Vincenzo. Arrivederci. •

Andrea Bezzini

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