50° di nozze. Un giorno speciale per Gino Cesari e Luigina Sentuti
Com’erano articolati i vecchi riti dello sposalizio di un tempo, i brindisi di nozze e le dolci serenate? E le feste da ballo e le dichiarazioni d’amore? Qual è il segreto che avvolge la fiaba di cinquant’anni di matrimonio e lo condisce di pudiche romanticherie? Nessuno può spiegarlo con certezza e tutto ciò che Gino Cesari e Luigina Sentuti lasciano nel vago, perché noi possiamo aggiungervi parole e sentimenti, è riempito dalle tradizioni del matrimonio, che nel secondo dopoguerra è ancora il mito fondante di un’intera comunità: una serie di usanze, pazze salterellate, feste da ballo che s’intrecciano con le fatiche campestri, le strade della transumanza, le canzoni d’amore, le veglie intorno al focolare. Lì tra le leggende fascinose delle nonne, i rosari devoti della padrona di casa e gli stornelli cantati dai giovani innamorati, l’ago di Luigina Sentuti connette al suo corredo romantici ricami e vi trasferisce figure, luci e colori. Per compenso il suonatore di organetto, coi suoi dionisiaci motivi, durante le feste da ballo suscita speranze, accende amori, unisce cuori. Io benedico tutti quanti i fiori / massimamente quelli di ginestra: / e benedico tutti i sonatori, / senza di loro non se pò fa’ ‘na festa. E accanto all’organetto i giovani innamorati come Gino Cesari osano lanciare un’improvvisata dichiarazione d’amore alla donna che segretamente amano, prima di esprimersi in forma ufficiale e separati colloqui. Esplorano così il sentimento dell’amata, ed un suo pudico sorriso rivela il suo pensiero, mentre entrambi i giovani vengono incitati alla danza dai due notissimi versi: ballate ballirì, ballate bene, ballate co’ la punta de lu piede. Tanta fantasia di ricordi apre uno spiraglio sulla promessa d’amore di Gino e Luigina che, rinnovata a distanza di cinquant’anni, rivela l’antica poesia di un incontro, le sue vicende, la sua storia e, diciamolo pure, la sua morale. Mi rendo conto che per una volta la gente non potrà distogliere lo sguardo e ignorare questo esempio di unione coniugale. L’amore ogni tanto fa qualche piccolo miracolo. Anche quello di offrirci un’occasione di emozione reciproca, di navigazione rievocativa, una partita col passato e l’arrocco di chi alla fine sente il bisogno di tornare indietro e di sfogliare, insieme a me, l’album dei ricordi. I mondi nostalgici delle nozze d’oro di Gino e Luigina sono le foto del loro matrimonio dopo alcuni anni di fidanzamento, sono i lavori di Luigina che da giovane aiutava la sorella Lucia nel lavoro di sarta, sono le melodie d’amore e le canzoni a ballo e i canti a rispetto che si levavano al vento nelle tante contrade di Villa Sant’Antonio di Visso, sono le serenate che volavano appassionate sotto le finestre delle forosette: avete li riccetti lunghi un dito / in mezzo ce ne avete uno indorato / felice chi sarà vostro marito. Ma sono anche i canti a rispetto, pieni di poesia con cui i giovani di allora esaltavano la donna come fonte d’amore: Lu sole quanno leva la mattina/ più in alto s’arza e più butta sprennore, / così la donna quanno è piccolina più se fa granne e più conosce amore; lu sole quanno leva fa tre mosse / per prima spunta l’alba e poi chiarisce, / se posa poi su le bellezze vostre. Rime e pensieri che sembrano indicare vie nascoste e segrete di questo che è il giorno speciale di Gino e Luigina. Anche la parola si stacca dal linguaggio comune e da lingua antica diventa nuova, da cenerentola si fa principessa per esprimere la musicalità dei tanti brindisi per nozze spesso laudativi e romantici come questo che vi proponiamo. Mira lo sposo, mi rassembra un fiore / e la sua sposa una lucente stella / si sono uniti l’uno a l’altro cuore / e giunti sono per la via più bella / stretti e legati dal nodo d’amore / che in questa vita più non si cancella: / che Iddio vi possa benedire / vi dia figli e un radioso avvenire. Qui, su questi spezzoni di amarcord a galla in mezzo agli anni della vita, a metà strada fra un iniziale sogno d’amore e una vita insieme, si gioca a ricordare in una dimensione quasi fatata. Sul cammino di Gino e Luigina si perde e si ritrova l’interminabile viaggio che strapazza il tempo e le storie per offrirle a noi e farci ritrovare l’alfabeto perduto dell’amore. Un dono dove ancora lampeggia uno stornello di sessant’anni fa: Le stelle su nel cielo è piccolette / queste manine tue quant’è ben fatte / beato chi l’anello ve ce mette. Sentimenti poetici dei giovani di un tempo, illusione che ai nostri giorni, fra disperate malinconie e andar di nuvole e di stelle, qualcosa di quel passato si può ancora incontrare: uno scampolo di felicità, un idillio sognante ricamato d’amore a fili d’oro. •
Valerio Franconi