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Don Bosco e i piccoli spazzacamini

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Frammenti di storia storia Salesiana e della vita Don Bosco, presbitero e pedagogo italiano fondatore della congregazione che aveva conosciuto l’estrema povertà della gente del suo tempo.

Visi sporchi dal lavoro ma anime candide
Gli spazzacamini, nella Torino di don Bosco, provenivano tutti dalle valli, soprattutto dalla Val Vigezzo, chiamata oggi romanticamente la valle dei pittori. Chi ama dipingere trova in questa valle l’ispirazione necessaria, tanto sono belli i colori in ogni stagione; il paesaggio poi è incantevole e da favola, soprattutto in autunno. È una delle cento valli che disegnano il territorio dell’Ossola. Un tempo era il regno della miseria. Molti facevano i tipici lavori dei frontalieri, “Gli spalloni”, erano coloro che gerla in spalla si recavano al lavoro nella vicina Svizzera. Il paese di Santa Maria Maggiore, poco lontano da Malesco, era il luogo dal quale partivano tanti ragazzi che facevano il lavoro degli spazzacamini. A loro, nel 1985, è stato dedicato in una piazza del paese, il monumento allo spazzacamino. Quando don Bosco arriva a Torino, da tre anni, in piazza San Carlo, c’era il monumento a Emanuele Filiberto. È proprio sotto questa statua che don Bosco incontra i primi spazzacamini. Quelli che avevano sette, otto anni, si esprimevano solo in dialetto, in patois, terminologia vagamente francesizzante. Conversando con loro, don Bosco venne a conoscere la loro storia. Disse un giorno: “Quanti buoni giovani ho trovato fra gli spazzacamini. Era nera la loro faccia, ma tante volte quanto bella era la loro anima” (Cfr. Teresio Bosco, Storia di un prete, pag. 90, Torino 2006, Elledici)

L’adulto capo ed i piccoli spazzacamini
La stagione più propizia per il lavoro degli spazzacamini iniziava con l’inverno. Le mamme, dopo aver dato ai propri figli tre camicie di lana grezza ed un berretto, li accompagnavano dall’adulto – capo degli spazzacamini, il “couèitse”, come veniva chiamato in dialetto piemontese. Durante il lavoro, il capo- spazzacamini si impegnava a procurare 780 grammi di pane ogni giorno a ciascuno dei ragazzi. Non sempre però, il capo degli spazzacamini era una persona onesta. Il capo adulto assegnava i piccoli ragazzi ad un “cap- gaillo”, un altro spazzacamino adulto che coordinava il lavoro di più squadre di spazzacamini distribuiti nei diversi quartieri. Minestra e carne, i piccoli dovevano elemosinarle nelle case dove raschiavano i camini. Più il ragazzo era esile e piccolo, più era ricercato nella pulitura dei camini. Doveva entrare nel camino e con una piccola raspa scrostava la fuliggine raggrumata sulle pareti. Una volta giunto alla sommità del camino, doveva gridare per tre volte “spaciafournel”. Era la sua maniera di avvertire il capo degli spazzacamini che aveva finito il lavoro. Allora poteva ridiscendere, faccia ed abiti neri di fuliggine. Il capo adulto degli spazzacamini, che durante il lavoro delle squadre faceva il venditore ambulante, affittava uno stanzone o una soffitta dove i piccoli spazzacamini dormivano sulla paglia e passavano i giorni quando veniva loro la febbre. Le malattie professionali dei piccoli spazzacamini erano: tubercolosi, polmonite e bronchiti. I polmoni dei piccoli si intasavano di fuliggine. Non era raro poi il caso di molti piccoli che morivano perché precipitavano di schianto dalla sommità del camino, dopo aver portato a termine il lavoro. Scrive don Bosco su di loro: “Scendevano innocenti dalle loro montagne senza alcuna malizia del mondo” ( ibidem, pp. 91-92). •

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