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enciclica Papa Francesco

Grido della terra Grido dei poveri

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L’Enciclica di Papa Francesco sulla cura del creato è un evento molto importante. Segna, infatti, un ritorno del magistero cattolico alla guida profetica dell’umanità, in quanto recupera quello spirito che la Chiesa, ahimè anch’essa impantanata nelle preoccupazioni della finanza, aveva perso dopo Paolo VI.

Questa Enciclica può essere posta a fianco della Pacem in terris di Giovanni XXIII, della Populorum progressio di Paolo VI, degli insegnamenti presenti nei documenti conciliari. Il Papa, inoltre, si colloca, nell’enciclica, nella prospettiva teilhardiana del muovere verso la costruzione di una terra in cui abbia stabile dimora la giustizia, per poter preparare l’umanità alla seconda venuta di Cristo. Non possiamo dimenticare, in tal senso, il grido di Maria nel Magnificat.

La Madre di Gesù parla poco, ma ciò che ha da dire lo proclama ad alta voce. Il segno dell’azione di Dio è infatti Rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili Ricolmare di beni gli affamati e rimandare i ricchi a mani vuote. I grandi poteri finanziari che oggi gestiscono la terra sono preoccupati di riempire sempre più le mani dei ricchi, dimenticando che si può sottomettere l’umanità con la forza del denaro e delle armi, ma non si può sottomettere la natura con la forza del denaro e della tecnologia passata al servizio della finanza.

Oggi, forse, il no più forte a questo modello di pseudo sviluppo, capace soltanto di massimizzare i profitti, proviene dalla natura che non può reggere a un continuo sfruttamento senza regole. Non a caso, il grido di dolore e di denuncia viene da un papa del cosiddetto terzo mondo, che, parlando di grido della terra e di grido dei poveri, usa le categorie della teologia della liberazione, anch’essa, come Pierre Teilhard de Chardin, finalmente rivalutata dal vescovo di Roma.

Nell’enciclica c’è anche, però, un’altra apertura fondamentale. Tra i pronunciamenti magisteriali, accanto a quelli degli ultimi papi, viene presentato anche il Magistero del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, con il quale, ricorda il papa, noi cattolici condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale. È un riferimento significativo, perché Bartolomeo si è speso molto sulla questione ecologica, ed è quindi importante che il suo magistero venga considerato fondamentale anche dal vescovo di Roma. D’altra parte, solo l’unione delle chiese cristiane può dare forza politica ad un progetto che altrimenti resterebbe solo un grido profetico.

Un altro aspetto rilevante dell’enciclica è la robusta base scientifica che ne costituisce l’intelaiatura di fondo. Il problema ecologico è stato posto da quella parte della scienza che analizza i disastri del modello attuale di ge-stione della Biosfera e delle sue ricchezze. La prospettiva teologica ci dice come e perché costruire la Terra, la scienza ci dà indicazioni precise sul modo in cui farlo. Noi ci troviamo di fronte alla seguente alternativa: o assecondare lo sfruttamento che porterà al collasso della Biosfera e alla fine dell’esperienza dell’essere pensante su questa terra, o interagire con la Biosfera rispettandone gli equilibri. La scienza ha mostrato che l’evoluzione e il muovere verso la complessità e la coscienza possono e debbono avvenire all’interno di parametri che mantengano la stabilità della Biosfera. Rispettarne gli equilibri non vuol dire, quindi, fermare il progresso, ma aprirlo a prospettive di lungo termine, proprio perché viene mantenuto intatto la spazio ecologico in cui il progresso può svilupparsi senza dar luogo a disastri ingestibili.

L’analisi scientifica presente nell’enciclica è precisa e puntuale. Finalmente vi è un rapporto di fiducia tra magistero e scienza per costruire il futuro. L’unico punto discutibile nella prima parte è la sottovalutazione del problema demografico. È indubbiamente vero che una più onesta distribuzione delle risorse può garantire cibo a tutta la popolazione terrestre, senza ricorrere a soluzioni ecologicamente dubbie come l’uso di organismi geneticamente modificati in agricoltura.

È anche vero, però, che nessuna specie può crescere all’infinito. Nel caso del gruppo umano siamo quasi giunti ad una soglia critica, e la riflessione sul problema demografico prima o poi andrà fatta seriamente. Non basta il semplice riferimento al “Crescete, moltiplicatevi e popolate la Terra”. Oggi la Terra è stata popolata, quindi è il momento di prendere in seria considerazione il problema dell’equilibrio demografico.

L’enciclica ha anche, come del resto era ovvio e necessario, una importante base biblica che persegue il superamento della idea di dominio della Terra, e sottolinea la necessità, per l’uomo, di curare la natura, una natura che, come del resto la Terra rimane pur sempre, in ultima analisi, di Dio. Nell’enciclica sono proprio le norme sulla difesa della Terra e sulla spartizione della ricchezza coi poveri che vengono riproposte come elementi fondamentali dell’insegnamento biblico. È importante, inoltre, la sottolineature dei limiti presenti nell’attuale modello di gestione del pianeta basato su tecnica, economia, finanza. L’unica preoccupazione è l’aumento continuo dei profitti, nella
speranza che, poi, le alterazioni ecologiche possano essere sanate miracolosamente dalla tecnologia. La tecnica, in tal modo, risponde alle necessità di un modello economico-finanziario che tiene in poca considerazione le necessità dell’ambiente e dei poveri.

Ecco, quindi, il duplice grido: il grido della terra e il grido dei poveri! Le biotecnologie agrarie, più che per portare pane a chi ha fame, sono utili per garantire il controllo dell’agricoltura alle grandi aziende che hanno la possibilità di imporre e gestire i brevetti, e, come è ben descritto dall’enciclica, costringono i piccoli coltivatori ad abbandonare la terra. In tal modo, non solo la terra non è più di Dio, ma anche i viventi, i quali, una volta brevettati, divengono proprietà di chi ne gestisce il brevetto. Nell’enciclica i problemi sono illustrati in maniera chiara e semplice, con una seria impostazione scientifica. Ma le soluzioni?

Nonostante tutto il modello dominante è ormai così forte e globalizzato che non si vede come se ne possa uscire. Sui mercati finanziari agiscono le grandi multinazionali occidentali, i postcomunisti russi, i comunisti cinesi, gli sceicchi arabi del petrolio. Anche le forze emergenti, Sud Africa, Brasile, India, sono integrate in questo sistema finanziario. Chi potrà, a livello sopranazionale, avere la forza di operare una sintesi politica che imponga un serio controllo dei mercati finanziari?

Purtroppo, nell’entusiasmo della caduta del comunismo, non ci si è resi conto che le forze conservatrici, ahimè abbondantemente presenti anche in molti esponenti della Chiesa che vedevano nella teologia della liberazione il grande nemico, prendevano il controllo del mondo. Oggi, l’impressione è che sia troppo tardi. La ripresa del progetto profetico si scontra contro una realtà dura e difficile da cambiare. Però, l’ottimismo teilhardiano e la speranza di lavorare per cieli nuovi e terre nuove, deve costringerci a sperare ancora di costruire una terra in cui abbia stabile dimora la giustizia. •

Ludovico Galleni
Docente emerito di zoologia Università di Pisa

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