Il nome scelto è un manifesto programmatico

UN PAPA FRA-NOI

Stampa l articolo

Fra-ncesco, fra-nco, fra-grante, fra-goroso, fra-terno, da non fra-intendere

Mi hanno chiesto di scrivere alcune impressioni sui primi 4 anni del ministero di papa Francesco. Ho cercato di schivare la cosa, poiché vorrei fuggire lontano dalla tentazione di pontificare su un pontefice, ma con altrettanta decisione non vorrei nemmeno apparire un “lecca calze” (così pochi giorni fa il santo Padre ha simpaticamente definito gli adulatori).
“La vita da papa” deve proprio essere il contrario di quanto si dice. Un pensiero di san Giuseppe da Copertino ci far riflettere su questo compito improbo che grava sulle spalle di un solo uomo: «San Pietro si dipinge con le chiavi in mano e non con la croce sulla quale morì, perché le chiavi significano superiorato e governo, peso maggiore di ogni croce e distintivo di più penoso martirio. Chi considerasse questo non andrebbe così facilmente cercandosi superiorati e responsabilità». La chiave pesa più della croce: per questo la prima cosa che dobbiamo fare è ricordarci di pregare ogni giorno per il Santo Padre; non per nulla in ogni liturgia eucaristica il canone ci ricorda di sostenere con la preghiera la persona che deve sostenere un compito così gravoso.
Riguardo a papa Francesco provo a lanciare alcune considerazioni:
Un papa Fra-nco: uno uomo immediato, che pensa improvvisamente a qualcosa che crede importante e vuole subito compierla. Pensiamo alle sue prime parole: «Adesso vorrei dare la benedizione, ma vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica». Immaginiamo le milioni di invocazioni che contemporaneamente si sono levate per il nuovo Papa, che inaspettatamente, inchinandosi con umiltà, riconosceva il suo bisogno di essere aiutato dai fratelli con la forza che viene da Dio! Quelle preghiere che abbiamo innalzato al Cielo si sono riversate su di noi come pioggia benefica.
È divenuto Fra-grante il pane della parola che ogni mattina ha spezzato nelle omelie quotidiane a Santa Marta. Credo che leggerle sia il modo migliore di conoscere questo papa Fra-ncescano, essenziale nello stile e nel vestire, che non si vergogna di confinare negli armadi dei vestiti ormai carnevaleschi, quei «belletti della Sposa che non piacciono allo Sposo».
Un papa Fra-terno, che abbraccia una ad una le membra doloranti della Chiesa, che accarezza le più deformi con divino rispetto: ricordo l’impressione che ha lasciato la sua visita all’Istituto Serafico di Assisi, dove ha salutato con attenzione profonda, uno ad uno, tutti quei fratelli gravemente menomati e da lui più amati.
Un papa Fra-goroso, come la sua risata. Il Pontefice argentino ama l’umorismo! Sono testimone di una curiosità: nel maggio 2015 durante un’udienza gli ho regalato un libro di Chesterton. Appena lo ha visto mi ha detto: “A livello umano il senso dell’umorismo è quello che si assomiglia di più alla Grazia. E Chesterton aveva il senso dell’umorismo…! Aveva un unico problema: gli piaceva la birra!” Naturalmente ha condito la frase con un grosso sorriso!
Un papa da non Fra-intendere. Sicuramente è il rischio più grande che possiamo correre, e molti giornalisti e alcuni politici sembrano continuamente cadere nell’errore. Un esempio è di pochi giorni fa. Con la lettera apostolica Misericordia et misera il Papa, estendendo la facoltà di assolvere a tutti i sacerdoti, non aveva nessuna intenzione di minimizzare il peccato di aborto, che resta gravissimo. “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato perché pone fine a una vita innocente”. Molti esponenti politici e intellettuali hanno invece equivocato all’inverosimile. Campionessa in doppio travisamento con avvitamento l’onorevole Monica Cirinnà, che ha twittato: “Ora non ci sono più scuse, basta medici obiettori. Deve essere garantito sempre e ovunque diritto donne a #aborto libera scelta”. Anche un quotidiano ha titolato “Abortite pure, il Papa vi perdona”. Ai superficiali il famoso “Chi sono io per giudicare” è sembrato a prima vista un tana libera tutti. Non c’è giorno che da qualche punto del mondo non ci sia qualcuno che usi questa frase, sempre per giustificare comportamenti in contrasto con la morale. In realtà la frase precisava altro: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby». L’affermazione in realtà non era la giustificazione del relativismo morale ma il riconoscimento che tutti siamo peccatori e bisognosi di perdono. E se siamo peccatori, la logica vuole ci sia anche di un peccato che trasgredisca la verità. Forse confini più precisi ci aiuterebbero, anche perché tra il bianco e il nero c’è il grigio sporco, che non è un gran colore… Scriveva Chesterton di san Pio X: «Aveva quel pregiudizio per cui la mistica parola “sì” dovrebbe essere distinta da quell’altrettanto insondabile espressione che è “no”… Soppresse l’idea pragmatista di volere la botte piena e la moglie ubriaca. Lasciò che le persone concordassero o no con il suo credo ma non le lasciò libere di travisarlo». •

Fra Roberto Brunelli

Rispondi