La devozione per la Madonna della Concezione
C’è una fede antica di più secoli, potente, inestinguibile, suggestiva: è la devozione per la Madonna della Concezione. Ed è il culto per un’immagine remota che ha saputo, nella sua felice e immemorabile storia, trovare ogni anno la sua modernità. Stare in alto nel paesaggio vissano, unire sui confini della preghiera, affratellare sui valori condivisi, accomunare nella degustazione di un cioccolato caldo al termine della messa. È questa la forma che sentiamo nostra, la maniera che anima anche le foto che avete sotto gli occhi. L’accorrere al suo cospetto per la ricorrenza dell’Immacolata Concezione è la sua cifra, come lo è stata sempre negli anni di storia che ha alle sue spalle: la forza dell’attrazione, lo scandirsi della visione, la muta pronuncia dello sguardo e dell’emozione. Questo culto ha sempre posseduto la caratteristica di suscitare il tremore dell’istante di fede che appare al nostro occhio, per fermarlo di primo mattino quel tanto che lo salva. È lo stesso transito della Madonna che sembra chiamarci in causa, per essere stata traghettata dai vigili del fuoco e scampata all’abisso distruttivo del terremoto. I fedeli diventano questa volta passanti degli occhi, pellegrini più attenti che colgono il dono dell’occasione. Appartengono a quella stirpe di credenti discreti e ferventi che gettano reti invisibili a catturare luoghi in cui si riconosce il fulgore della fede, la sua luce tranquilla, la sua inalterata estensione che si scompone appena raggiunta: un inesausto impegno per essere là, prima che il prodigio della festa sparisca. I vissani che sono tornati oggi dalle località lungo la costa guardano la statua della Vergine che è rivolta verso di loro: fanno il segno della croce, compiono gesti devozionali antichi, pregano tutti insieme con le lacrime agli occhi. Cosa potranno proteggere e sacralizzare ancora gli sguardi pietosi e pacati della Madonna della Concezione? Eppure quella benedizione, resa nuova dalla grande tenda che ci ospita, non annulla, forse, il dolore delle recenti distruzioni, ma sicuramente insegue e consolida un legame che non passa e un futuro che si vorrebbe progettare; realizza insomma un legame dei tanti frammenti di un universo che è esploso con il terremoto. Fa un certo effetto vedere questa periferia di Visso, un tempo vuota e silenziosa – abitata solo dai vigili del fuoco e dai volontari della protezione civile – frequentata di nuovo. Si stanno forse disturbando le ombre e i fantasmi del passato o non si sta invece attuando un inizio di rinascita attraverso gli abbracci, le voci, i canti, le chitarre di Enrico, Beatrice, Tonino e le parole di don Gilberto? Oggi, giovedì 8 dicembre, i pochi abitanti rimasti e quelli sparsi nei tanti luoghi di accoglienza tentano ancora di conoscersi e riconoscersi. Il paese colpito dal terremoto sembra non volersi rassegnare alla sua sorte. Manda segnali, consegna memorie. Un tuffo nel mare del tempo, a capofitto per alcuni secoli fino a scoprire la tela settecentesca che in tempi recenti era ancora sull’altare barocco con le figure della Madonna e dell’immacolatezza: Ortus conclusus, fons signatus, turris davidica, pulchra ut luna, electa ut sol. Ovvero: Maria è come un orto chiuso, una fonte, una torre, bella come la luna, eletta come il sole, gli stessi simboli che oggi sono rappresentati dalla bella statua donata dalla famiglia Cherubini nel secolo scorso. La città ferita, le case distrutte e quelle danneggiate, la chiesa della Concezione pressoché intatta, le rovine che la circondano, nonché la stessa immagine della Madonna sotto la tenda, la degustazione del cioccolato e dei dolci non alimentano solo antiche tradizioni, ma anche lacrime, speranze, sogni dell’oggi. Sono in qualche modo un revenant che torna, inquieta, interroga, incalza le persone che si avvicinano alla Madonna e afferma il desiderio di presenza e di centralità di un’immagine recuperata alla memoria. L’ansia, il panico, il silenzio assoluto, il borbottare cupo e spaurente del terremoto si trasformano in suoni di festa e manifestazioni di speranza. Intorno ai dolci e al cioccolato caldo della tradizione, preparati con dovizia dai soldati del sesto reggimento logistico e supporti generali di Budrio si confondono voci, richiami, scoppi di commozione. La statua recuperata riflette e porta dentro di sé il paese perduto. Visso nostalgica guarda il passato perché vuole un presente e un futuro autentico. La casa perduta verrà riguadagnata nella nuova, come casa della memoria. Non si perde mai una casa se non si vuole perderla. Non avremo mai una casa se non sapremo riconoscerla nella nuova. La casa del sole e della neve. La casa dell’infanzia e del mito.La casa dei boschi e dei prati. La casa da cui partivano i nostri avi per alla campagna romana. La casa da cui partivano i figli per raggiungere i padri. E le case svaniscono. Svaniscono le tante campane delle chiese distrutte. Ma una campana ancora suona, un’antica chiesa è pronta ad accoglierti. È la chiesa della Madonna della Concezione che diventerà la tua casa se diventa il luogo dell’incontro di una nuova identità civile, storica e religiosa che non smarrisce la precedente. •
Gli abitanti dei comuni terremotati dell’alto Nera ringraziano con viva e commossa riconoscenza i militari del 6° reggimento logistico che con grande professionalità e cura amorevole preparano per i senza tetto e per tutti i terremotati che tornano sporadicamente nel loro paese, pasti degni di un albergo a cinque stelle. Con gli stessi sentimenti di gratitudine ringraziano i militari del 5° reggimento alpini e tutte le forze dell’ordine – carabinieri, polizia, corpo forestale dello Stato, vigili urbani – che di giorno e di notte, senza interruzione, vigilano sulle loro cose più care. Infine, ma non per ultimo, rivolgono il loro pensiero riconoscente ai vigili del fuoco e ai volontari della protezione civile e della croce rossa che da sempre, anche con rischio della vita, sono i loro angeli custodi. Di tutti conservano nel loro cuore ammirazione e apprezzamento per la disponibilità al sacrificio, l’umanità, la solidarietà, il senso del dovere, profusi in silenzio e con autentico spirito di servizio. Sono cose che non si dimenticano. Grazie.
Valerio Franconi, collaboratore de L’Appennino Camerte