Nel ricordare la figura di Don Raffaele procederò per aneddoti. Il primo riguarda due foglietti che teneva sulla sua cattedra: uno era un titolo di giornale ritagliato da lui e recitava “Raffaele ma chi ti credi essere?”. Il secondo foglietto era scritto. “Raffaele abbandona i tuoi idoli!” e gli era stato “donato” dai catechisti. Mi sono sempre domandato chi in quel caso avesse peccato di idolatria. In don Raffaele convivevano aspetti che noi consideriamo incompatibili. Chi ha avuto il dono di conoscerlo, rammenta la sua affabilità e il suo rigore, il suo carattere discreto e schivo; eppure, forte, vibrante, capace di voce stentorea quando cantava lo Shema’ e di voce calma quando consigliava. Raffaele sorriso di Dio. Il primo rettore storico del Redemptoris Mater di Macerata. Poche persone come lui sono state capaci di accogliere e dare amicizia. Egli si sentiva prete, con entusiasmo. Ma anche profondamente laico. Capace di “appesantire il cuore”, in una poetica dell’ascolto con il problemi di altri, talvolta fino all’alba e non importa dove…
Ecco perché egli è stato un confessore eccezionale, voluto dall’intuitivo Don Paolo de Angelis, capace di consolare, di liberare dai sensi di colpa, di aiutare a riconoscere la paternità del Dio di Gesù. Non giudicava, metteva nella libertà. Il suo non era buonismo, ma riflesso di Misericordia. Egli restava alieno da compromessi, prima di tutto per sé stesso.
Certamente, a questo lo ha orientato anche la sua esperienza personale di sofferenza, la sua stanza segreta. Come pure la sofferenza di sua madre, quando restò vedova e lui orfano senza conoscere il padre disperso in Russia.
Inoltre pagò nella propria pelle, come arameo errante, la sua vocazione di biblista ascolano poi fermano, per non troppe strane coincidenze in cui la grazia di stato non era in stato di grazia…
Egli era maestro, non un mero docente, non solo nelle lezioni, ma nella capacità di orientare agli studi e alla ricerca; ma si sentiva anche condiscepolo, sempre umile ricercatore di una sapienza che può essere solo accolta come dono.
Amava quella frase di Plutarco per cui il discepolo non è un sacco da riempire, ma una torica da accendere.
Tante volte l’ho sentito proporre la contemplazione della Croce come la verità, la vita, il cammino.
La sua critica non era mai ideologica, ma cristologica: come se la Chiesa e il cristiano avessero senso ed efficacia solo se assumono la forma di Cristo.
A lui è stato donato di percorrere questa via. Egli sognava di poter o essere sepolto a Gerusalemme, la sposa, la città amata, tante volte percorsa come ottima guida di gruppi.
La sua memoria è benedizione e fa parte ora di quella “nuvola di testimoni”( Eb 12,1-3), ci assiste nel viaggio della fede.
Un ultimo aneddoto: poco prima di entrare in camera operatoria, chiese, com’è usanza nel Cammino, di poter aprire la Bibbia a caso, per sapere quale parola si compiva per lui. Uscì fuori la frase: “In verità io ti dico: Oggi sarai con me in Paradiso!” (Lc 23,43).
Il giuramento di Gesù, il bacio e il pianto di Dio come per Mosè, nel giardino dissigillato. •