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La ricostruzione non parte, mancanza di servizi essenziali

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Intervista al sindaco di Visso e senatore Giuliano Pazzaglini sulla situazione nelle zone terremotate a 20 mesi dal sisma

Dove eravamo rimasti, e come, è difficile dimenticarlo. Porto Sant’Elpidio 13 marzo 2017. Il sindaco Pazzaglini è nella sala conferenze del villaggio turistico “La Risacca” di Porto Sant’Elpidio per informare ancora una volta i suoi concittadini sulla situazione difficile e complessa del dopo terremoto. Da allora è passato pressoché un anno. Le comunità che si erano costituite lungo la costa sono state in un primo tempo disperse in varie località e poi, con le prime consegne delle Sae (Soluzione abitativa d’emergenza) sono tornate gradualmente nei luoghi di residenza.
Rivenendo a mia volta a Visso mi sono reso conto di cosa cova sotto la pelle dei terremotati, dove ribollono i sentimenti più disparati, che vanno dallo sconforto alla rabbia per i ritardi nella ricostruzione, alle incertezze per il futuro. Le ruspe seguitano a demolire e portar via le infinite macerie. Gli abitanti, quelli già sul posto, sono dislocati da alcuni mesi in cinque agglomerati Sae, mentre altri attendono, per tornare, che siano pronte le casette in fase di ultimazione. Non si parla nemmeno di far ripartire le “B”, le case con danni lievi, tanto che qualcuno, scherzando in modo amaro, comincia a definire le Sae “Soluzione Abitativa Eterna”.
Ma anche se di piangersi addosso e lamentarsi non c’è molta voglia, resta ancora tanta insicurezza, mentre la vita di tutti si limita ad aspettare la ricostruzione. Possiamo incominciare da qui. Intanto però fatemi dire grazie, ché ancora non l’ho fatto, al senatore Pazzaglini che con grande cortesia e affabilità alle ore 10 precise mi riceve, secondo l’appuntamento dato, nella sede del comune di Visso, partendo subito dopo per Milano. Nella formulazione delle domande inizio dall’argomento che ritengo prioritario.

Che dire della ricostruzione che non riparte?
La ricostruzione non riparte perché è stata sbagliata l’impostazione iniziale che rispecchia l’indirizzo dato alla gestione dell’emergenza, con l’aggravante di un carico di burocrazia già di per sé troppo oneroso, e la priorità riconosciuta alle procedure anziché alle esigenze delle persone. Un esempio lampante di tutto questo è offerto dalla convenzione sottoscritta tra regioni ed Anac che sottopone al controllo preventivo di Anac ogni singola fase del procedimento di realizzazione di un’opera pubblica. Io in qualche caso definisco tale procedura un collo di bottiglia, in qualche altro lo paragono a un tappo perché quello che si è verificato con l’iter approvativo dei progetti delle aree Sae, in questo caso si ripeterebbe di nuovo, con conseguenze addirittura più pesanti per i diretti interessati. Ritengo che i tempi medi di realizzazione di un’opera pubblica, a causa di questa procedura, sono tra il raddoppiare e il triplicare. Aggiungo che le opere pubbliche spesso sono propedeutiche ai lavori dei privati e di conseguenza anche l’inizio dei lavori dei privati stessi slitterebbero nel tempo. Secondo me è fondamentale quindi semplificare tutto.
Naturalmente quello che ho riportato è solo un esempio, neppure esaustivo di tutte le problematiche che emergono ogni qualvolta parliamo di ricostruzione. Problematiche che s’identificano con le ordinanze emanate, con la mancanza di un testo unico che le racchiuda, con il fatto che le stesse ordinanze non abbiano una vigenza superiore agli strumenti urbanistici e legislativi vigenti, concorrendo a un quadro che è estremamente complesso, mentre in qualche caso sono addirittura in contrapposizione fra di loro. Pertanto torno a ripetere che è fondamentale semplificare tutto e fare in modo che l’iter della ricostruzione abbia un canale suo, privilegiato rispetto al resto della normativa e anche rispetto al resto degli strumenti urbanistici, affinché a conclusione di tutto si possa creare efficienza. Questo non preclude, peraltro, la possibilità di controllare che la ricostruzione avvenga all’insegna della legalità, un obiettivo fondamentale che si può raggiungere anche con procedure semplificate. Per ideologia, per mentalità, per esperienza arrivo a dire che lo stesso obiettivo è addirittura più facile da raggiungere con procedure rese semplici, perché verificare una procedura semplificata risulta più agevole che verificare una procedura complessa.
Sono quindi convinto che semplificare, rendere efficiente non significhi affatto mettere a rischio la legalità, ma al contrario significhi creare le condizioni perché si possa effettuare un controllo più puntuale e più preciso.

Nelle zone terremotate sta emergendo con forza la mancanza dei servizi essenziali.
Uno dei problemi delle aree interne è appunto la mancanza dei servizi, a causa di una spirale innescata dalla motivazione della scarsa popolazione. A mio avviso questo problema è diventato un gatto che si morde la coda, perché la poca popolazione ha giustificato finora la riduzione dei servizi, la riduzione dei servizi ha comportato l’ulteriore calo della popolazione, che a sua volta ha innescato un ulteriore calo dei servizi. Occorre evidentemente fermare questa spirale perversa, questo vortice assurdo. Il modo secondo me non è quello di tornare indietro, perché in natura è sempre difficilissimo tornare indietro. Il modo giusto è quello di cambiare direzione. La direzione si può cambiare utilizzando le infrastrutture tecnologiche di cui disponiamo attualmente.
Faccio un esempio: noi abbiamo raggiunto un accordo con i vertici della Croce Rossa nazionale per realizzare una nuova sede adatta alle loro necessità operative – sede che poi verrà donata al comune di Visso – nella quale verranno allocati servizi importanti e ambulatori come quello della telemedicina. Si creeranno quindi delle infrastrutture, anche tecnologiche, capaci di superare il gap della distanza e del ridotto numero dei servizi, con valenza per tutti i comuni montani.
Vogliamo insomma creare le condizioni perché la gente si possa stabilire nel nostro territorio senza dover rinunciare ai servizi essenziali.
Un tema attualissimo riguarda quello della scuola. Ci è stato comunicato dal preside dell’Istituto comprensivo mons. Paoletti che si ipotizza una riduzione delle pianta organica del personale insegnante. Prevedendo una temporanea diminuzione della popolazione scolastica a causa del terremoto, già un anno e mezzo fa chiesi a Renzi, Curcio ed Errani – all’epoca responsabili per la ricostruzione – di bloccare la pianta organica delle scuole, per evitare che la riduzione delle classi inducesse le famiglie degli alunni a non tornare nei luoghi di residenza, rendendo così permanente la riduzione stessa. Purtroppo fui facile profeta. Un impegno che mi sento di assumere subito è pertanto quello di portare avanti un’azione parlamentare, finalizzata a tutelare le aree interne dell’intero Paese. Non è né logico, né legittimo, né di buon senso che per determinare il numero del personale docente della scuola si applichino a Visso o a Pieve Torina gli stessi criteri che si applicano a Palermo. È evidente che certe peculiarità territoriali debbano essere tenute nella giusta considerazione, con criteri decisionali che tendano a mantenere antropizzate tutte le aree interne. Senza quel ruolo fondamentale di custodi della montagna, esercitato dagli abitanti delle alte terre collinari e montane, si ripeteranno quei disastri ambientali che abbiamo conosciuto tante volte nel recente passato. Il territorio va curato e mantenuto antropizzato perché non si rivolti contro le persone, con conseguenti vittime e danni a monte, ma soprattutto a valle. Un’azione importante dovrà essere quindi intrapresa subito per mantenere i servizi non solo nella nostra zona, ma in tutte le aree interne del Paese.

L’area commerciale appare come un problema nel problema.
Quello dell’area commerciale può sembrare un problema limitato ad alcuni comuni, ad alcune realtà. Penso a Visso, penso a Camerino, penso a Norcia e nello specifico a Castelluccio di Norcia. In realtà non è così. Il problema dell’area commerciale è indice di una negligenza grave insita nel progetto stesso di ricostruzione, ovverosia la mancanza di programmazione. È evidente che, senza l’autosufficienza economica, per queste zone sarebbe inutile non solo l’insediamento delle persone, ma la ricostruzione in quanto tale, perché rischieremmo di realizzare semplicemente tanti musei a cielo aperto. Ecco perché le aree commerciali, la valorizzazione delle peculiarità del territorio, la rivalutazione delle bellezze naturalistiche, l’apprezzamento dei prodotti tipici sono temi fondamentali affinché il tanto denaro pubblico che deve essere ancora speso per la ricostruzione vada a buon fine e non si rischi di creare le mura, ma non le comunità, non le prospettive economiche, non il futuro dei borghi distrutti dal terremoto.
Il problema delle aree commerciali è un aspetto importantissimo della ricostruzione perché implicitamente evidenzia la necessità di una programmazione e il fine della ricostruzione.
È il volano perché questi territori possano tornare ad essere il fiore all’occhiello della Regione, nonché il motore trainante dell’economia tutta.

Dopo il terremoto il potenziamento delle istituzioni meritorie è visto come un obiettivo primario.
Il terremoto ha dimostrato quanto siamo fragili e quanto sia importante disporre di servizi che in condizioni normali diamo per scontato, ma che invece scontati non sono. Dimostrano magari la loro utilità una volta sola, ma è quella che fa la differenza: la vita delle persone si può salvare una volta sola e se non la salvi quella volta non avrai mai una prova di appello. Ci sono istituzioni come la Croce Rossa, la Protezione civile, ma anche corpi dello Stato come i Vigili del fuoco, presenti da noi solo in misura marginale e che negli ultimi diciotto mesi hanno dimostrato invece tutta la loro importanza. Ecco perché ho chiesto ai competenti comandi un distaccamento fisso dei Vigili del fuoco, e alla Croce Rossa nazionale di potenziare l’offerta di servizi nelle nostre zone (ora lo sta facendo in diversi Comuni dell’area montana).
Ho anche sensibilizzato la Regione perché renda più efficiente la Protezione civile, che può essere un fiore all’occhiello come è avvenuto nei primi anni del Duemila, oppure una Ferrari costretta a marciare in prima, come è successo dopo la riforma del 2012. Purtroppo è prevalsa un’ideologia conservatrice finalizzata al coinvolgimento di tutti i soggetti interessati nelle decisioni della stessa Protezione civile. Questo aspetto, che può apparire come un utile passo verso procedure di democrazia, nelle emergenze non funziona.
Faccio dei paralleli: nel 2009, all’Aquila, in pochi mesi la Protezione civile ha approntato il doppio delle casette che erano necessarie nelle Marche; nell’emergenza attuale, invece, una procedura eccessivamente burocratizzata ha fatto sì che a un anno e mezzo dal terremoto ne siano state realizzate solo due terzi del totale necessario. Come se non bastasse va detto che questo totale (casette necessarie) è di gran lunga inferiore al numero delle casette realizzate nel 2009.
Ci sono poi aspetti che vanno considerati in tutte le zone interne, perché un ulteriore limite sta nel fatto che siamo lontani dagli ospedali.
Al momento è stato avviato un progetto importante finalizzato alla riduzione delle distanze con la creazione di elisuperfici che permetterebbero da qualunque zona delle Marche di raggiungere l’ospedale di Torrette in circa venticinque minuti. È chiaro però che nella deprecabile eventualità di un dramma, come quello che ci ha colpito un anno e mezzo fa, non è una elisuperficie la soluzione ideale. Occorre una misura strutturale che consenta di gestire in loco tutta l’emergenza del momento.
È emerso infatti in maniera inequivocabile che la disponibilità sul posto di strutture organizzate – personale e mezzi – è un vantaggio enorme non solo per la prima accoglienza degli sfollati, ma anche per il soccorso, per la messa in sicurezza degli stabili e per ripristinare condizioni di viabilità fondamentali.
Ritengo quindi che l’offerta di questi servizi vada implementata, non perché io sia pessimista sul futuro che ci attende o perché ci siano chissà quali fini dietro, ma perché il bene assoluto da preservare in ogni emergenza è pur sempre la vita umana. Creare le condizioni di sicurezza finalizzate a questo scopo diventa un obbligo preciso per ogni amministratore. Purtroppo si tende talvolta a dare significati ulteriori al perseguimento di tale obiettivo primario. A mio avviso questo è un colpevole tentativo di politicizzare una parte della nostra competenza, che invece dovrebbe esulare da qualunque ragionamento di parte ed elevarsi come neutra, universalmente riconosciuta da tutti.
Purtroppo nel paese dei guelfi e dei ghibellini per il momento non è possibile sperare tanto. Comunque per quanto mi riguarda non ho intenzione di farmi condizionare da certe scelte di campo e tengo per fermo che l’obiettivo di cui stiamo parlando sia da raggiungere rapidamente in qualunque zona interna d’Italia.

Come è possibile conciliare il mandato parlamentare e la cura del Comune?
Il dubbio che un eventuale impegno in parlamento potesse rendere meno efficace la mia azione amministrativa evidentemente l’ho avuto anch’io ed è stata la prima domanda che mi sono posto. Poi mi sono reso conto che in realtà era una domanda basata su una riflessione del momento, un momento del tutto eccezionale di gestione di un’emergenza senza eguali, che mi ha portato ad essere in Comune sette giorni su sette ed anche dodici ore al giorno.
È evidente che la riflessione non deve essere fatta su detta situazione puramente emergenziale, ma su quella fase – in cui spero di entrare presto – che potremmo definire di ricostruzione. Ed allora la risposta diventa chiara: non solo è compatibile, ma al contrario questo mio ruolo mi mette nelle condizioni ideali per renderla più efficace non soltanto per me, ma per tutti i Comuni distrutti, perché poter intervenire con cognizione di causa è una condizione che nessun altro parlamentare può avere, la possibilità di agire dopo un anno e mezzo di confronto diretto con gli ordini professionali, con i tecnici che lavorano nella ricostruzione, con gli uffici che operano per lo stesso fine, con le persone che sono le dirette interessate a una efficiente ricostruzione, mi mette in una condizione tale da poter rendere più efficace il mio ruolo di sindaco, ma anche il ruolo di sindaco di tutti gli abitanti della zona colpita. Quindi ritengo che sia perfettamente compatibile, ma anzi che mi dia una possibilità in più di essere efficace. •

Valerio Franconi

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